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Festa di Edith Stein, la martire di Auschwitz che insegnò la "scienza della Croce"


“Dichiarare oggi Edith Stein compatrona d’Europa significa porre sull’orizzonte del vecchio Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza” per “una società veramente fraterna”. Sono le parole del Motu Proprio con le quali, il primo ottobre 1999, Giovanni Paolo II affidava il Vecchio continente alla protezione, tra le altre, di Santa Teresa Benedetta della Croce, ebrea di nascita, convertita al cristianesimo e martire ad Auschwitz. La Chiesa la celebra oggi e molto spesso in passato Papa Wojtyla e Benedetto XVI hanno dedicato a questa figura parole di profonda ammirazione. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3 

In un giorno qualsiasi, una donna umile, stringendo la cesta della spesa, entra nel Duomo di Francoforte, si inginocchia e prega brevemente e cambia la vita di chi la sta guardando. Chi la osserva è una ragazza ebrea. Di nome fa Edith Stein, è una brillante neolaureata, appassionata di filosofia, intellettualmente autonoma già a 14 anni, quando smette consapevolmente di pregare, perché – afferma – preferisce far conto su di sé piuttosto che su Dio. Eppure, la scena di quella donna con la spesa che prega e se ne va la colpisce a fondo. Lo spiegherà così: “Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l’accaduto”. L’ebrea brillante e in fondo indifferente a Dio ha sfiorato la fede. Che da soffio nell’anima diventa roccia di una scelta nel 1921, quando legge in una notte la storia di Teresa d’Avila e pochi mesi dopo, al culmine di un percorso di ricerca si fa battezzare. Canonizzandola l’11 ottobre 1998, Giovanni Paolo II riassumeva così quel periodo:

“Percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato ed alla fine fu premiata: conquistò la verità, anzi ne fu conquistata. Scoprì, infatti, che la verità aveva un nome: Gesù Cristo, e da quel momento il Verbo incarnato fu tutto per lei. Guardando da carmelitana a questo periodo della sua vita, scrisse ad una benedettina: ‘Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio’”.
Carmelitana. Al fuoco che arde da sempre nella giovane di origine ebrea non è sufficiente la legna di una fede spicciola. Edith Stein vuole tutto della sua nuova vita. E vuole dare tutto. Nel 1933, si presenta alla madre priora del Monastero delle Carmelitane di Colonia e dopo i primi voti prende il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. La croce è quella che il suo Paese sta vivendo in quegli anni. L’orrore esplode il 9 novembre 1938, la “Notte dei cristalli”, quando la furia nazista manifesta nel sangue l’odio antisemita, bruciando sinagoghe, uccidendo e deportando. Edith Stein è in grave pericolo di vita e viene spostata in un monastero olandese. Ma la sua nuova fede – ricorda Giovanni Paolo II – ha già bruciato le tappe ed è più forte della paura:

“Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: ‘Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta’”.
Il 2 agosto 1942, la Gestapo bussa alla porta del monastero. Nel giro di cinque minuti, suor Teresa Benedetta della Croce deve presentarsi assieme a sua sorella Rosa. Per lei sono le ultime parole di Edith Stein: “ Vieni, andiamo per il nostro popolo”. La prima tappa è il campo di raccolta di Westerbork, con molti altri ebrei convertiti al cristianesimo. All’alba del 7 agosto un carico di 987 ebrei parte in direzione Auschwitz. Il 9 agosto Suor Teresa Benedetta della Croce e sua sorella Rosa entrano nella camera a gas. Davanti alla lapide che la ricorda, Benedetto XVI si ferma nella sua storica visita nel campo di concentramento polacco del 28 maggio 2006:

“Come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia”.

Una notte che la sua testimonianza trasforma in una luce potente per molti, che spiove sul mistero dell’amore e del dolore cristiano e, spiega Giovanni Paolo II, li illumina:

“Il mistero della Croce pian piano avvolse tutta la sua vita, fino a spingerla verso l’offerta suprema. Come sposa sulla Croce, Suor Teresa Benedetta non scrisse soltanto pagine profonde sulla ‘scienza della croce’, ma fece fino in fondo il cammino alla scuola della Croce. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! Il vero messaggio del dolore è una lezione d’amore. L’amore rende fecondo il dolore e il dolore approfondisce l’amore”.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/08/09/festa_di_edith_stein,_la_martire_di_auschwitz_che_insegn%C3%B2_la_scienza/it1-718355
del sito Radio Vaticana 

BRANI SULLO SPIRITO SANTO DI EDITH STEIN

La raccolta di questi testi e preghiere di Edith Stein sullo Spirito Santo riflette come in tutta la vita e soprattutto negli ultimi anni della carmelitana era presente la viva realtà di un’esperienza spiritua­le, basata sui passi della Sacra Scrittura e approfon­dita con l’aiuto della dottrina mistica di San Giovanni della Croce. Anche prima non è mancata in lei la riflessione teologica sull’opera dello Spirito Santo nell’anima umana, e se ne fanno eco alcune pagine da lei scritte prima della sua entrata al Carmelo. Ma per arrivare a una forte, intima devo­zione allo Spirito Santo, per sentirlo “vibrare” nell’a­nima, per “aprirsi” alle sue illuminazioni e ispirazio­ni e per camminare alla sua dolce guida verso la più stretta unione d’amore con Dio, ci voleva il suo incontro con la spiritualità e la mistica carmelitana. I più profondi testi steiniani sullo Spirito Santo por­tano perciò il sigillo dell’esperienza spirituale di un profondo abbraccio d’amore dello Spirito Santo che con la sua “dolce e deliziosa acqua” ha trasformato la sua anima in una “fiamma viva d’amore”.

LO SPIRITO SANTIFICATORE

Un anno prima di entrare al Carmelo Edith Stein, trovandosi come docente all’Istituto di peda­gogia scientifica di Muinster, aveva programmato un corso di antropologia filosofica e teologica. Costretta a ritirarsi a motivo della sua origine ebraica, aveva tuttavia già preparato il materiale. In alcune pagine esprime il suo pensiero sullo Spirito Santo:

LA CRESIMA

“La vita cristiana è una continua lotta. Il mezzo che ci fortifica per sostenere una tale lotta, è il sacramento della cresima, nel quale ci viene dona­to lo Spirito Santo, così come fu donato agli aposto­li nel giorno della Pentecoste, affinché il cristiano confessi coraggiosamente il nome di Cristo”.

LA GRAZIA SANTIFICANTE

“Il Concilio tridentino insegna che la nostra giustificazione è opera del “Dio Misericordioso” che ci rende “santi” (1 Corinti 6,11) con “il suggello dello Spirito Santo” che era stato promesso (e che è) caparra della nostra eredità” (Efesini 1,13-14)… Questo dono di Dio – lo Spirito Santo – che a ciascuno di noi viene donato, nella misura in cui Dio lo ha pre­destinato e conforme alla nostra preparazione a riceverlo e collaborazione, cioè la grazia santificante o la giustizia, altro non è che l’amore di Dio” river­sato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Romani 5,5), assieme con la speranza e la fede. Questo dono ci unisce con Cristo come membri vivi del suo corpo. (…) Prima della grazia santificante… possiamo spe­rimentare l’infusione dello Spirito Santo che ha per effetto di svegliare in noi il desiderio di purificazione, ‘con cui da parte di Dio viene preparata la volontà’ (Proverbi 8, 35). Così ha inizio in noi anche la fede,… cioè lo Spirito Santo viene riversato in noi come dono della grazia per cambiare la nostra volontà, condu­cendola dall’incredulità alla fede, dall’ateismo alla pietà. È la grazia preveniente di Dio che chiama il peccatore… a consentire liberamente alla grazia, a collaborare con essa e ad essere pronto all’illumina­zione dello Spirito Santo e ad accettare la fede”.
“Appartiene alla vera grazia di Cristo che il cuore dell’uomo venga toccato mediante l’illumina­zione dello Spirito Santo… Da questa illuminazione o dal soffio dello Spirito Santo dipende il consenso della fede. Poiché senza una tale illuminazione non è possibile accettare la predicazione evangelica, come è necessario per arrivare alla salvezza. Perciò la fede è un dono di Dio”.
“L’accettazione della fede è un atto ragionevole; non è mai un’espressione del sentimento. Tuttavia, la luce naturale non basta. Nessuno potrà accettare la predicazio­ne evangelica, come è necessario per giungere alla salvez­za, senza l’illuminazione e il soffio dello Spirito Santo, perché Egli soltanto può dare la dolcezza del consenso e della fede alla verità” (cit. Tridentino, D 1791).

IL DONO DELLO SPIRITO

Edith Stein esprime, dunque, con chiarezza che la vita della grazia e tutta la vita del cristiano ci vengono comunicate da Dio per mezzo dello Spirito Santo, e con ciò inizia la nuova vita del cristiano redento da Cristo nostro Salvatore: “Con la morte in croce Cristo ci ha guadagnato la nostra rinascita: “ci ha fatto rivivere in Cristo” (Efesini 2,4) rinnovando i nostri cuori nello Spirito, tanto da non somigliare soltanto ai giusti, ma di esserlo in verità: riceviamo in noi la giustizia, ciascuno nella misura che lo Spirito Santo gli dona, come egli vuole (1 corinti 12,11)”.
Questa meravigliosa constatazione che riempie il cuore della Stein di sempre nuove profondità, la fa implorare alcuni anni più tardi lo Spirito Santo di “mostrarsi a lei in forma visibile”, così come risplende nella bellezza di Maria, che è la sua vera sposa, “a lui unita indissolubilmente”:

SPOSA DELLO SPIRITO SANTO

“Tu, dolce Spirito, che crei ogni bene, tu, pace della mia anima, luce e forza, onnipotenza dell’amore eterno, mostrati a me in forma visibile.
Là presso il Giordano il Figlio dell’uomo si mostrò, chinò il suo divino capo in profonda umiltà; allora venisti tu, sovrabbondanza di ogni purezza, sotto l’aspetto luminoso di una leggera colomba. I discepoli ti udirono nello scroscio tempestoso, la casa trema per il possente sibilo; sul loro capo guizzano come lingue di fuoco, il suo fuoco d’amore domina il lor cuore. Tu ti creasti una fedele immagine, purissimo fiore della creazione, divino e mite. In un volto umano, celeste, chiaro, diviene manifesta la pienezza della tua luce.
Dai suoi occhi irraggia brace d’amore, e spira fresco come da acqua chiara.
Il suo sorriso è splendore della santa gioia, si versa come balsamo nel cuore ferito.
Con mano materna ella conduce il suo bambino [dolcemente, e tuttavia forte nella tua forza, dove camminano i suoi piedi verdeggia e fiorisce [la campagna e lo splendore del cielo rischiara la natura.
La luminosa gloria della pienezza di grazia l’ha eletta al trono dall’eternità
e attraverso di lei scorre sulla terra ed ogni dono viene dalle sue mani.
Come sposa è unita a te indissolubilmente O dolce Spirito, io ti ho trovato.
Tu mi riveli la luce della tua divinità che risplende chiara nel volto di Maria”.
Nel medesimo periodo, attraverso lo studio della Fiamma d’amor viva di san Giovanni della Croce – quella fiamma d’amore che brucia nel cuore umano con l’ardente desiderio di “rompere la tela del dolce incontro”- Edith Stein intuisce lo Spirito Santo con la sua presenza nell’uomo, non solo illu­mina la mente e purifica il cuore, ma innalza l’ani­ma all’unione con Dio.
“La Fiamma viva d’amore è lo Spirito Santo, “che l’anima sente ormai dentro di sé… come un fuoco che la arroventa, trasformandola tutta in soave amore”, ma anche “come un fuoco che arde davvero dentro di lei, lanciando delle fiammate. Orbene, ogni­qualvolta quella vampa fiammeggia, irrora l’anima di gloria, rinfrescandola in un bagno tempratore di vita divina”. Lo Spirito Santo provoca in lei un arroven­tamento amoroso, per cui la volontà dell’anima viene a confondersi in un amore solo con la fiamma divina. La trasformazione in amore è un “habitus”, vale a dire uno stato permanente in cui l’anima viene posta; è il fuoco che arde continuamente in lei. 1 suoi atti invece “sono le fiamme che si sprigionano dal fuoco amoroso, e che salgono con tanto maggior impeto quanto più è intenso il fuoco dell’unione”. In questo stato, l’anima è impossibilitata ad agire di sua inizia­tiva. Tutti i suoi atti vengono eccitati e compiuti dallo Spirito Santo, per cui sono del tutto divini. Sicché, ad ogni avvampare di questa fiamma, all’ani­ma sembra di star ricevendo la vita eterna: “perché essa la solleva all’altezza operativa di Dio in Dio”.
Data questa sua trasformazione in fiamma d’a­more, si comunicano a lei il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; ed essa arriva così vicina a Dio da pregustare un piccolo saggio della vita eterna; anzi ha l’impressione che quella sia già la vita eterna”. ‘Quando l’anima dice che lo Spirito Santo la feri­sce nel suo più profondo centro, intende affermare che in lei esistono anche dei punti meno profondi, corrisponden­ti ai vari gradi dell’amore divino; adesso però è la sua sostanza, la sua capacità, la sua forza, che viene toccata e investita. Con questo non vuol dire `che tutto ciò si verifichi così sostanzialmente e con tanta perfezione come nella visione beatifica dell’altra vita’; ma dice così semplicemente `per manifestare la copiosità, la sovrab­bondanza di piacere e di gloria da lei sentite in questa comunicazione dello Spirito Santo. Il piacere è tanto più intenso e tenero, quanto più fortemente e sostanzialmente essa è concentrata e trasformata in Dio”.
Che cosa opera lo Spirito Santo nell’anima tra­sformata in Dio? Qualcosa che secondo la Stein oltrepassa l’esperienza dell’inabitazione della SS. Trinità, nella quale l’intelletto viene “illuminato con la sapienza del Figlio, la volontà con il gaudio dello Spirito”, e il “Padre abbraccia l’anima, assorbendola nell’abisso della sua dolcezza”.
Ma lo Spirito Santo che brucia con amore ardente, fa ancora qualcosa di più sublime. Rende l’anima: “un carbone acceso che non soltanto arde, ma lancia attorno a sé delle lingue di fiamma”. La unione semplice assomiglia al “fuoco di Dio che si ali­menta in Sion”, ossia alla Chiesa militante, in cui il fuoco della carità è sì acceso, ma non fino all’incandescenza; l’unione amorosa fiammeggiante invece, assomiglia “alla fornace di Dio che c’è a Gerusalemme”, ossia a quella visione di pace costi­tuita dalla Chiesa trionfante, ove il fuoco arde dav­vero come in una fornace arroventata dalle vampe del perfetto amore. È vero che l’anima non ha anco­ra raggiunta la perfezione del cielo; tuttavia essa brucia come una fornace, alimentata da una visione riposante, gloriosa e splendente d’amore.
Ora essa tocca con mano “come la fiamma d’a­mor viva, che sì dolce ferisci!” come volesse dire: “O infiammato amore, come mi stai glorificando gene­rosamente con i tuoi slanci amorosi, che colmano la capacità e la forza dell’anima mia! Tu mi dai una conoscenza divina che riempie tutta l’abilità e la capacità del mio intelletto; Tu mi infondi l’amore sino al limite di capienza della mia volontà, sommergendo la sostanza dell’anima mia con il torrente del piacere provocato dal tuo contatto (avvenuto) in rapporto con la purezza interiore e l’apertura della mia animd”().

L’INCONTRO CON LO SPIRITO SANTO

Tutta questa meravigliosa esperienza significa per Edith Stein un incontro con lo Spirito Santo che riempie l’anima d’immensa gioia, di “festeggiamenti amorosi”, “di fiumi d’acqua viva”.
“L’anima designa questo strapotente abbraccio interiore dello Spirito Santo col nome di incontro. Dio l’afferra con una vera irruenza soprannaturale, per ele­varla oltre la carne e condurla alla stretta conclusiva. Ci troviamo di fronte ad autentici incontri; lo Spirito Santo compenetra infatti la sostanza dell’anima, irra­diandola e divinizzandola. “Sicché l’essere divino assor­be l’essere dell’anima al di là di ogni altro essere”.
L’anima è quindi in grado di gustare al vivo Dio; per cui chiama dolce questo incontro, che è real­niente più soave di tutti gli altri contatti ed incontri, perché li sorpassa tutti in grado eminente'”.
La Stein torna ancora sull’azione bruciante dello Spirito Santo mettendo in luce come si realizza questo incontro: “Conosciamo di già lo Spirito Santo come fuoco divoratore (Deuteronomio 4,24), Ossia come “fuoco d’amore, che – carico di energia infinita – può consumare incoercibilmente, trasformando in sé l’a­nima da Lui investita… E allorché questo fuoco ha trasfigurata in sé l’anima, questa non solo sente la scottatura, ma diventa lei pure tutta una scottatura bruciante. Ed è un fatto meraviglioso,… che questo fuoco di Dio così impetuoso e divoratore, capace di consumare mille mondi con maggior facilità di quanto non faccia il fuoco terrestre con un batuffolo di lino, non consuma né distrugge l’anima… ma anzi la divinizza e la colma di delizie…”.
Esso è per lei “una rara fortuna, perché così sa tutto, gusta tutto e fa tutto ciò che vuole; inoltre essa fa ottimi progressi, senza che nessuno possa avere il sopravvento su di lei e nulla arrivi a scalfirla”. A lei si possono ora applicare le parole dell’Apostolo: “l’uomo spirituale giudica tutto, e non è giudicato da nessuno” (icorinti 2,,5) e ancora: “Lo Spirito scruta tutto, anche le profondità di Dio” (1 Corinti 2,10). È infatti una caratteristica dell’amore, il fare l’inventario di tutti i beni dell’Amato” .
Infine, per terminare il grande ed inesprimibile mistero della trasfigurazione dell’anima in Dio, la Stein ribadisce di nuovo: “Questo immenso fuoco è così soave da assomigliare alle acque vive che sazia­no a dismisura la sete dello Spirito. Ne abbiamo una figurazione allusiva in quel prodigio di cui parlano i libri dei Maccabei: il fuoco sacro che un dì era stato nascosto in una cisterna, si era trasformato in acqua; portato sull’altare del sacrificio, si trasformò di nuovo in fuoco. Lo Spirito di Dio è come una dolce e deliziosa acqua, finché resta nascosto nelle vene del­l’anima; ma appena viene alla luce per essere impie­gato nell’offerta sacrificale dell’amor divino, divampa in vivide fiamme. Siccome in questo momento l’ani­ma è infiammata e intenta a concedersi nell’abbando­no amoroso, ecco che giustamente parla più volentie­ri di lampade piuttosto che di acqua.
Resta però sempre un fatto incontestabile: che tutte queste descrizioni non sono che timidi tentati­vi di esprimere ciò che si sta verificando in realtà; “poiché la trasfigurazione dell’anima in Dio è qual­cosa di indicibile”.

LA “MIA” ULTIMA PENTECOSTE

In questo clima mistico, pochi mesi prima della sua deportazione ad Auschwitz, nacque una delle pre­ghiere più belle della Stein: l’intimo sposalizio dell’a­nima con lo Spirito Santo. È la “sua” Pentecoste:
I.
“Chi sei tu, dolce luce, che mi riempie e rischiara l’oscurità del mio cure? Tu mi guidi come una mano materna e mi lasci libero, così non saprei più fare un passo. Tu sei lo spazio che circonda il mio essere e lo racchiude in sé, da te lasciato cadrebbe nell’abisso del nulla, dal quale tu lo elevi all’essere. Tu, più vicino a me di me stessa e più intimo del mio intimo – e tuttavia inafferrabile ed incomprensibile che fai esplodere ogni nome: Spirito Santo – Amore eterno!
II.
Non sei la dolce manna che dal cuore del Figlio fluisce nel mio, cibo degli angeli e dei santi? Egli, che si levò dalla morte alla vita, ha risvegliato anche me ad una vita nuova dal sonno della morte e mi dà una nuova vita di giorno in giorno, e un giorno la sua pienezza mi sommergerà, vita dalla tua vita – tu stesso: Spirito Santo – Vita eterna
III.
Sei tu il raggio che guizza giù dal trono del giudice eterno ed irrompe nella notte dell’anima che mai si è conosciuta? Misericordioso ed inesorabile penetra nelle pieghe nascoste. Si spaventa alla vista di se stessa lascia spazio al santo timore, inizio di ogni sapienza, che viene dall’alto e ci àncora con forza nell’alto: alla tua opera, come ci fa nuovi, Spirito Santo – Raggio Impenetrabile!
IV.
Sei tu la pienezza dello Spirito e della forza con cui l’agnello sciolse il sigillo dell’eterno decreto divino?
Da te sospinti i messaggeri del giudice cavalcano per il mondo e separano con spada tagliente il regno della luce dal regno della notte. Allora il cielo diventa nuovo e nuova la terra e tutto va al suo giusto posto con il tuo alito. Spirito Santo – Forza vittoriosa.
V.
Tu sei l’artefice che costruisce il duomo eterno che s’innalza dalla terra al cielo.
Da te animate s’innalzano le colonne e restano saldamente fisse. Segnate con il nome eterno di Dio si alzano verso la luce sostenendo la cupola, che chiude il santo duomo coronandolo, la tua opera che trasforma il mondo. Spirito Santo – Mano creatrice di Dio.
VI.
Sei tu colui che creò il chiaro specchio, vicinissimo al trono supremo, come un mare di cristallo, in cui la divinità amando si guarda?
Ti chini sulla più bella opera della tua creazione e raggiante ti illumina il tuo proprio splendore, e la pura bellezza di tutti gli esseri, unita nel grazioso aspetto della Vergine, tua immacolata sposa: Spirito Santo – Creatore dell’universo.
VII.
Sei tu il dolce canto dell’amore e del santo timore che eternamente risuona attorno al trono della Trinità e sposa in sé il puro suono di tutti gli esseri? L’armonia che congiunge le membra al capo, in cui ciascuno, felice, trova il segreto senso del suo essere e giubilante irradia, liberamente sciolto nel tuo fluire. Spirito Santo – Giubilo eterno!
a cura di: Suor Giovanna della Croce Monastero Carmelitano di Milano Milano, Pasqua 1998

EDITH STEIN – PROFILO D’UN ITINERARIO VOCAZIONALE DI CROCE

SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE (EDITH STEIN)

PROFILO D’UN ITINERARIO VOCAZIONALE DI CROCE

“EDITH STEIN: ebrea, filosofa, monaca e marti­re” (Giovanni Paolo II). E tutta la sintesi della vita di TERESA BENEDETTA DELLA CROCE, ma ancor più l’intero compendio prospettico della sua originale risposta vocazionale.

NELLA VITA LA CHIAMATA DI DIO

Nata a Breslau il 12 ottobre 1891 da genitori ebrei tedeschi, studiosa e ricercatrice attenta della verità nelle Università di Germania, convertita alla fede cattolica e battezzata il 1 gennaio 1922, entrata al Carmelo di Colonia il 14 ottobre 1933, deportata ed eliminata nel campo di sterminio di Auschwitz il 9 agosto 1942, viene canonizzata come martire da Giovanni Paolo II, Domenica 11 ottobre 1998. Sono gli elementi estremi, le date-chiave di una esistenza…
All’evidenza immediata appaiono come “alcuni” giorni, eventi “temporali”, cadenze di momenti e dati di un cammino umano non unico, né esclusivo. A ben vedere sono le coordinate di fondo di un itinera­rio interiore secondo una peculiare tensione vocazio­nale: “stare davanti al volto del Dio vivente, consumarsi per Lui… Partecipare alla passione del Signore… per il popolo”. Soltanto la passione di Cristo può salvare il mondo: “esserne partecipi, questa è la mia aspirazione”.
L’aspirazione è divenuta realtà nella storia di una vita che si apre con il nome di Edith Stein e si chiude con quello nuovo Carmelitano di Suor Teresa Benedetta della Croce non nella solitudine di una cella monastica, ma nel chiuso di una camera a gas. Impensabile? Non per Dio!
La vocazione si compie per ciascuno in una sto­ria singolare ed esclusiva, l’unica che realizza ed autentica la vita tutta di una persona, perché rispon­de alla chiamata, al “piano di Dio”, nonostante o pro­prio attraverso i momenti temporali e gli eventi esterni dell’esistenza, della storia umana. La domanda è “Che significa essere chiamati?”. Risposta: “E’ necessa­rio che vi sia una chiamata da qualcuno, rivolta a qual­cuno, per qualche cosa ed in modo percepibile. Nella natu­ra di un uomo è già prevista la sua chiamata la sua vocazione… La strada della vita fa poi maturare la vocazione di ciascuno e la fa comprendere chiaramente agli altri. La natura di un essere umano, però, e lo svol­gersi della sua vita non sono semplice gioco del caso, ma – considerati con gli occhi della fede – sono opera di Dio. Chi chiama dunque, in fondo è Dio stesso “.

COME SORGE UNA CHIAMATA

Le strade del Signore Dio sono effettivamen­te… infinite! Egli chiama a sé quelli che vuole e quando vuole, salendo su ogni nostro monte di terra e passando lungo tutte le sponde dell’esistenza nostra umana. Un principio rimane comunque fermo e indiscusso nella fenomenologia vocazionale di Dio: la chiamata avviene e la scelta cade là dove e quando l’aspettativa umana non ha supporto, né presupposto alcuno.
Ultima di dodici figli, Edith Stein nasce e cre­sce in una famiglia dove, nonostante la figura ener­gica e l’educazione pia della madre, la religiosità non brillava certo come quella dei padri dell’antico popolo eletto di Dio. L’ultima della nidiata, in parti­colare, si sviluppa e matura allo “stato brado” del­l’indifferenza religiosa e praticamente già atea negli anni primi di una giovinezza, dedita agli studi, ai traguardi e ai miraggi dell’età e della cultura.
La “signorina dottoressa” accarezzava l’eterno sogno o miraggio universale: “di felicità e di uno splendido avvenire, convinta di essere destinata a qualcosa di grandi molto al di là delle strettezze borghesi della mia famiglia, nella quale certamente non è il mio posto”. Certamente era destinata nella sua vita a per­corsi immensamente distanti dalle strettezze bor­ghesi e dagli orizzonti limitati di una famiglia di commercianti ebrei. Ma la ricerca e le sue prospet­tive avranno indirizzi e contenuti di vita di ben diversa scuola da quella pur nobile e ricca di un’eti­ca ebraica o semplicemente filosofica.
Del suo trascorso “umano” potrà anche testi­moniare – e giustamente – “Il sano umanesimo conosciuto nella famiglia ebrea” e la consapevolezza forte che “noi, cresciuti nel giudaismo, abbiamo il dovere di rendere testimonianza” di tanti valori etici. Quando però la chiamata, la scelta di Dio irrompe nella sua vita non c’è più posto per altri indirizzi ed interessi: ha sentito ed accettato la verità. E il momento di questo impatto, così improvviso e sconvolgente, è tanto singolare da lasciare nella stessa protagonista la convinzione di aver ricevuto un’illuminazione interiore sulla Verità, Dio-Amore. È noto e unani­memente risaputo il racconto di Edith Stein di quel­la notte dell’estate 1921 quando trovandosi ospite presso un’amica di famiglia e di studi a Bergzabern: “Presi casualmente un libro in biblioteca. Portava il tito­lo: Vita di Santa Teresa narrata da lei stessa. Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché ebbi finito. Quando lo rinchiusi, mi dissi: questa è la verità”.
La considerazione sulla “Ferità, che è Dio”, nel libro della “Vita” di Santa Teresa d’Avila si trova al capitolo 40, l’ultimo dello scritto.
Edith aveva proseguito la lettura sino all’ulti­mo e proprio qui, al termine di una lettura protrat­tasi per tutta la notte, si concretizza il momento e il movente della chiamata: la verità! Una casualità la lettura di quel libro? Una fortuita, felice conclu­sione di tema da sempre trattato e ricercato?
Chi ha ricercato la verità con insistenza e dopo negazioni e rifiuti, dubbi ed incertezze finalmente sente ed accetta nella vita la chiamata, vive e riaffer­ma una più alta consapevolezza ed interpretazione: “La natura di un essere umano e lo svolgersi della sua vita non sono semplici giochi del caso, ma – conside­rati con gli occhi della fede – sono opera di Dio. Chi chiama, dunque, è Dio stesso”.
“Dio conduce ciascuno per una via particolare; l’uno arriva più facilmente e più presto alla meta di un altro. In paragone a quanto ci viene dato, ciò che possia­mo fare è sempre poco. Ma quel poco dobbiamo farlo… affinché quando sarà indicata la via, sappiamo assecon­dare la grazia senza resistere”.
E di fatto per lei, che nella chiamata alla fede cattolica aveva posto improvvisamente fine ad una lunga ricerca della verità, Dio riservava un’ulteriore indicazione di via: “La Provvidenza mi aveva già indicato un’altra via;… mi si affacciò il pensiero se non fosse ormai arrivato il momento di entrare al Carmelo “…

IL CAMMINO DELLA CHIAMATA RELIGIOSA

Era già oltre la quarantina la donna che nell’e­state del 1933 si presentava alle grate del Carmelo di Colonia, latrice di una ben precisa ed inusitata lettera raccomandatizia: “La Signorina dottoressa Edith Stein è un’anima privilegiata, ricca di amore di Dio e del prossimo… Ha fatto molto con la parola e la penna… Eppure desidera rinunciare all’attività esterna per incontrare al Carmelo, seguendo l’esempio di santa Teresa d’Avila, la “perla preziosa”, che è Gesù Cristo”.
Ancora una folgorazione improvvisa, un cam­biamento inaspettato e fortuito? No! L’incontro con Cristo, la chiamata alla sequela di Cristo in una vita religiosa è l’attuazione di un desiderio e di una indi­cazione di vita che affondano le radici di un cammi­no interiore di anni lontani e passi tormentati.
La confèssione-relazione di Edith Stein in merito ai momenti e ai moventi della sua esperienza di cam­mino vocazionale religioso al Carmelo è quanto mai precisa e circostanziata, tanto da apparire un autenti­co “reportage” di viaggio o “un diario dell’anima”.
“Da quasi dodici anni il Carmelo era la mia aspi­razione, da quando cioè, nell’estate del 1921, la vita della nostra Santa Madre Teresa, capitatami per caso tra le mani aveva posto improvvisamente fine alla mia lunga ricerca della verità;… ricevendo il Battesimo nel capodanno del 1922, non dubitavo che esso fosse una preparazione al ratio ingresso nell’Ordine…
Dovetti aspettare con pazienza,… ma l’attesa mi riuscì assai dura, soprattutto verso la fine: ero diventata straniera al mondo…
Avevo chiesto con supplice istanza il permesso di entrare nell’Ordine, ricevendo però ancora un rifiuto, di cui mi veniva indicato il motivo sia nel dovere morale verso mia madre sia nell’attività che da anni svolgevo nell’ambiente cattolico. Mi ero sottomessa. Ma ormai tutti gli ostacoli crollavano”.
“Mi accompagnarono alla porta della clausura e questa finalmente si aprì. In profonda pace varcai la soglia della casa del Signore”.
Era il 14 ottobre, ai primi Vespri della fèsta della Santa Madre Teresa. Ormai era diventato realtà quello che aveva osato appena sperare… Una gioia grande? Non era certo una gioia esuberante che poteva impossessarsi di lei… “ciò che avevo pas­sato era troppo triste! Ma l’anima si trovava in una pace perfetta: nel porto della volontà di Dio”.
Viene spontaneo un duplice interrogativo: come scoprire la volontà di Dio in un approdo così ritar­dato al porto del Carmelo, desiderato e ricercato con tanta insistenza ed intensità? Ed ancora più proble­maticamente: perché una chiamata a un cammino “di vita religiosa” e per di più “chiusa” come quella clau­strale del Carmelo, per una donna ormai affermata per doni di grazia e di natura, che già “ha fatto molto” – e ancor più poteva tare – “con la parola e la penna” nell’attività esterna?
Ritorna alla mente la parola profetica della Scrittura nella sua intramontabile constatazione di verità: I miei pensieri non sono come i vostri pensieri né le vostre vie come le mie vie! C’è un abisso incolmabile tra il pensiero programmatico del Signore e quello degli uomini!
“Il posto di ciascuno di noi dipende unicamente dalla nostra vocazione. La vocazione – puntualizza con sensibilità ormai teologica – non la si trova sem­plicemente dopo aver riflettuto ed esaminato le diverse strade: è una risposta che si ottiene con la preghiera”. La vocazione, specie quando è chiamata alla vita contemplativa, deve maturare attraverso un’e­sperienza di preghiera, che porti a un personale e vissuto contatto con il Signore in cui emerge e si impone il richiamo al compito di ciascuno nella sua sequela di Cristo.
Edith non ha mai avuto dubbio alcuno circa la propria vocazione. Come ella stessa ricorda, in un intimo colloquio con il Signore Crocifisso aveva sen­tito l’interiore certezza del suo compito di immola­zione “per il popolo” e “per la pace”. Di fronte a tale consapevolezza e responsabilità di missione di vita, non hanno più ragione d’essere le proprie capacità e potenzialità di operatività umana: “Non è l’attività umana che ci può salvare, ma soltanto la passione di Cristo: partecipare ad essa è la mia aspirazione”.
La preghiera aveva sostenuto Edith per oltre un decennio nel suo desiderio e cammino di vita verso il Carmelo. Ora la VITA oltre la porta del Carmelo è il posto per lei di una esistenza interamente risponden­te a quella “chiamata a patire” che fonda la vita di sequela di Cristo, l’indirizzo primo di ogni ordine religioso e in specie quello del Carmelo. Puntualizza la tenace ricercatrice della verità e l’aspirante inde­fessa dell’incontro con Cristo, perla preziosa, al Carmelo: “Esiste una chiamata a patire con Cristo e a collaborare così con lui alla sua opera di redenzione… Cristo continua a vivere nelle sue membra e soffre in loro; e la sofferenza, portata in unione con il Signore, è la sua sofferenza, innestata nella redenzione. Questo è il princi­pio su cui si fonda la vita di tutti gli Ordini religiosi e in primo luogo del Carmelo… “.
Per questo Edith ha ricercato e scelto il Car­melo. Per questo entra per seguire Cristo nel Car­melo: “il mio scopo è di partecipare alla passione del Signore”. L’aspirazione di “essere partecipi della passione di Cristo”, che sola salva l’uomo, diventa ormai realtà della sua vita carmelitana vissuta: un’e­sperienza che si consuma totalmente nel mistero della Croce sino alla morte.

DOVE TERMINA LA SALITA DEL CARMELO

Il 14 ottobre 1933 Edith Stein varca “in profonda pace la soglia della casa del Signore”. Si chiude la porta della clausura del Carmelo di Colonia, ma non finisce certo il cammino di risposta alla chiamata.
La parola di Dio che chiama è spada che pene­tra sino in fondo; il Signore Dio è un fuoco divo­rante. E poi… ormai è Carmelo! E il Carmelo asse­gna “un nome nuovo”, ma ancor più un indirizzo tutto particolare ai passi della ricerca della verità e della perla preziosa, che è il Signore Gesù Cristo: Suor Teresa Benedetta della Croce! “Omen nomen”, sentenziavano gli antichi! Ma la religiosa carmelita­na non ha bisogno di rivolgersi alle sentenze anti­che per decifrare indirizzi e finalità dei propri passi di vita: “Anche qui siamo in via, poiché il Carmelo è un’alta montagna e bisogna salirla sino alla cima. Ma è una grazia troppo grande l’essere in cammino… Aiutami a diventare degna della grazia di vivere nel santuario più intimo della chiesa; aiutami ad offrirmi per coloro che debbono lottare all’esterno”.
Una strada in costante forte salita, quella del Carmelo. Quanti l’imboccano hanno una finalità vo­cazionale e una direttiva programmatica che tendo­no sempre all’alto, con tutto quell’insieme di equi­paggiamento e di esigenze che una vetta di alta montagna sempre comporta.
“Stare dinanzi al volto del Dio vivente, ecco la nostra vocazione, scriveva in uno studio del 1935 su “Spirito e vita del Carmelo”; …Vivere alla presenza del Signore Dio, consumarsi per lui; fare penitenza e ripagare i peccati dell’umanità, per la glorificazione del Signore”. È una coerente diagnosi storica della strada del Carmelo sulle orme del Profeta Elia, ma anche e forse più una consapevolezza profetica del cammino che le si para davanti. Ancora non conosceva come avrebbe glorificato il Signore Dio, ancora non sape­va come e quando sarebbe avvenuta la sua consu­mazione;… già, però, aveva imboccato e abbracciato il cammino che sentiva, l’avrebbe condotta al termi­ne della salita sua: la croce di Cristo per l’umanità, “per il popolo”!
La convinzione che il Signore le avrebbe riser­vato qualcosa di particolare al Carmelo, -ma anche la consapevolezza profonda di una comunione di desti­no con il “suo popolo”, l’umanità proprio nella e per la strada del Carmelo ha accompagnato ed illumina­to tutto “il salire” arduo di Edith Stein nell’ultima tappa del suo cammino. Il segreto o il nascondimen­to della clausura di un Carmelo può apparire un rifugio chiuso per chi sta all’esterno!… Per chi ne ha fatto il perché del proprio vivere ed operare, come la carmelitana, è apertura suprema, donazione per gli altri sino alla consumazione della vita.
“Verranno sicuramente a cercarmi fin qui… ver­ranno di certo a portarmi via di qua – spiega ad un collega in parlatorio, inquadrando il futuro già gra­vido di nubi minacciose;… – ad ogni modo io non debbo contare di essere lasciata in pace… Io non conto di essere risparmiata”.
Non si sbagliava. Non ha, però, deflettuto dalla propria strada! Essere “la sposa dell’Agnello”, “partecipare alla passione di Cristo per il popolo, la salvezza dell’umanità… le necessità della Chiesa” fino all’olocausto è stato il ritmo che ha scandito incessantemente il suo incedere di vita ed operati­vità oltre la soglia del Carmelo!
Già nel 1939, quando ormai sovrastava minac­cioso il flagello dell’odio antiumano e della tragedia antisemita, rinnova la sua offerta totalitaria: “essere vittima di espiazione per la vera pace”. Un’offerta che va, via via, arricchendosi di disponibilità e di accetta­zione alla maniera del sacrificio di espiazione del Salvatore Gesù Cristo, se nel suo testamento potrà scrivere: “Fin da ora accetto con gioia e in completa sot­tomissione alla sua santissima volontà, la morte che Dio mi ha destinato. Prego il Signore perché possa accettare il mio dolore e la mia morte a suo onore e gloria, per tutte le necessità della chiesa”.
Quando il pomeriggio del 2 agosto 1942 la “volontà di Dio” verrà a bussare alle porte del monastero carmelitano e preleverà Suor Tersa Be­nedetta della Croce, avviandola con la sorella Rosa al campo di sterminio per il sacrificio della domeni­ca 9 agosto, ella non avrà che da sottoscrivere il suo “sì” e il perché del suo “sì” alla chiamata con un ultimo gesto e richiamo: prende la sorella per mano e dice soltanto: “Vieni; andiamo per il nostro popolo”.
È la conclusione “obbligatoria” di un cammino vocazionale vissuto secondo la logica o, per meglio dire, secondo la “scienza della croce”.

UN CAMMINO DI CROCE… PER TUTTI

“Sono convinta che Dio non chiama nessuno unica­mente per se stesso e inoltre quando gradisce l’offerta di un’anima è prodigio di dimostrazioni d’amore”. Ella che è morta nel campo di sterminio come Edith Stein e nel tempo stesso come Teresa Benedetta della Croce a gloria di Dio e per il popolo tutto si pone a testimonianza inconfutabile della fecondità di amore di un cammino che, pur nella diversità di espressione, a tutti s’impone proprio quale vocazio­ne e attuazione di vita nella donazione, nell’offerta di Croce per tutti.
“Essere tutti di Dio, donarsi a Lui; al suo servizio, per amore, è questa la vocazione non solo di alcuni elet­ti; ma di ogni cristiano, o consacrato o non consacrato, o uomo o donna… Ognuno è chiamato alla sequela di Cristo. E più ciascuno avanza su questa via, più diven­terà simile a Cristo… “.
“La sequela di Cristo porta a sviluppare in pieno l’originaria vocazione umana.- essere vera immagine di Dio; immagine del Signore del creato, conservando, pro­teggendo ed incrementando ogni creatura che si trova nel proprio ambito; immagine del Padre, generando ed educando – per paternità e maternità spirituale – i figli per il regno di Dio”.
Questo cammino è stato percorso sino al termi­ne nella vita e con la vita da Suor Teresa Benedetta della Croce, ricercatrice della verità e ancor più di Cristo al Carmelo. Che sosteneva nel suo libro “Scientia Crucis”, opera rimasta incompiuta sul suo scrittoio carmelitano? “Il dono totale di tutto il proprio essere e di tutta la propria vita è la volontà di vivere e di operare con Cristo, che vuol dire anche soffrire e morire con Lui di quella terribile morte dalla quale sca­turisce la vita di grazie per l’umanità.
Così la vita di sposa di Dio si trasforma in mater­nità spirituale e soprannaturale per tutta l’umanità redenta; e non importa se è lei stessa che opera diretta­mente per la salvezza delle anime o se è soltanto il suo sacrificio che dà fruiti di grazia di cui né lei stessa né forse nessun essere umano è consapevole”.
“Una scienza della croce – troviamo ancora scrit­to – si conosce soltanto vivendola”. Possiamo affermar­lo senza timore di abbagli o di errate interpretazio­ni: Edith Stein ebrea, fìlosofa, carmelitana e martire ha avuto una piena conoscenza della scienza della Croce!

Padre Marco Fumagalli
Monza, Pentecoste 1998