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Antologia di brani di lettere di amicizia spirituale di S. FRANCESCO DI SALES a S. GIOVANNA FRANCESCA DI CHANTAL

Antologia di brani di lettere di amicizia spirituale di S. FRANCESCO DI SALES a S. GIOVANNA FRANCESCA DI CHANTAL

L. 76 – «Dio, mi pare, mi abbia dato a voi. Ne sono più che sicuro a ogni ora. È tutto quello che vi posso dire». 

L. 77– «Quanto più mi allontano da voi esteriormente, tanto più mi sento legato a voi interiormente» 

L. 79 – «Quale importanza può avere per voi sapere se mi potete considerare come il vostro direttore spirituale, quando sapete che la mia anima è in voi e io so che la vostra è in me? Io so che avete una piena e perfetta fiducia nel mio affetto: di questo non dubito assolutamente, e ne ricevo consolazione. Sappiate anche, ve ne prego, e credete fermamente che io ho una viva e straordinaria volontà di servire il vostro spirito con tutta la capacità delle mie forze, non saprei spiegarvi la qualità né la grandezza di questo desiderio che sento del vostro servizio spirituale; ma vi dirò decisamente che io penso che venga da Dio e, quindi, lo coltiverò con grande amore e, ogni giorno, lo vedo crescere e di latarsi visibilmente. Se lo stimassi conveniente, vi direi ancora qualcosa di più, e direi la verità, ma bisogna che mi fermi qui. Ora, mia buona Signora, potete vedere assai bene la misura con cui vi potete servire di me e quanta fiducia potete riporre in me. Mettete a profitto il mio affetto e usate di tutto quello che Dio mi ha dato per il servizio del vostro spirito. Eccomi qui tutto vostro; e non pensate più sotto qual nome o in quale misura io lo sia. Dio mi ha dato a voi; consideratemi come vostro in Lui e chiamatemi come meglio vi piacerà: questo non ha importanza. Per tagliare la strada a tutte le obiezioni che potrebbero sorgere nel vostro spirito, è necessario che vi dica ancora di non aver mai inteso che, fra noi, vi fosse un legame che non compo rtasse qualche obbligo, se non quello della carità e della perfetta amicizia cristiana. […] Ecco, mia buona sorella (e permettetemi di chiamarvi con questo nome che è quello con cui gli Apostoli e i primi cristiani usavano esprimere il loro amore vicendevo le); ecco il nostro legame, ecco le nostre catene che, quanto più ci stringeranno, tanta maggior gioia e libertà ci daranno; nulla è più flessibile e nulla è più tenace che queste catene. Tenetemi dunque molto strettamente legato a voi, e non datevi pensiero di saper altro, se non che questo legame non è contrario a nessun altro, sia di voto che di matrimonio. Sotto questo aspetto, state dunque perfettamente in pace». 

L. 80 – «In secondo luogo, carissima Sorella, sappiate che, come vi ho detto, fin dalla prima volta che mi manifestaste la vostra anima, Dio mi diede un grande amore al vostro spirito; e quando mi vi manifestaste in un modo più particolare, si creò, fra la mia anima e la vostra, un legame d’affetto molto più stretto, che m’indusse a scrivervi che Dio mi aveva dato a voi, pensando che non si potesse più aggiungere nulla all’affetto che sentivo nel mio spirito, specialmente quando pregavo per voi. Ma ora, carissima Figlia, si è aggiunto a quello un affetto nuovo d’un genere che, mi pare, non si può definire, ma ha come effetto una grande soavità interiore che provo quando vi auguro la perfezione dell’amore di Dio e le altre benedizioni spirituali. No, non aggiungo nessun fronzolo alla verità: parlo della presenza del Dio del mio cuore e del vostro. Ogni affetto è diverso da tutti gli altri. Quello che provo per voi mi consola immensamente, e, per dir tutto in una parola, mi è immensamente benefico. Tenete tutto questo come pura verità e non dubitatene più. Non volevo dire tanto, ma una parola tir a l’altra; e spero che prenderete tutto in bene. È una cosa meravigliosa, mi pare, Figlia mia: la santa Chiesa di Dio, a imitazione del suo Sposo, non ci insegna a pregare per noi individualmente, ma sempre per noi e per i nostri fratelli cristiani. «Dacci », dice, «Concedici», usando sempre il plurale. non mi era mai accaduto di sentire il mio spirito legato a una persona particolare quando usavo certe espressioni; però, da quando sono partito da Digione, se dico noi , mi vengono in mente parecchie persone p articolari che mi sono raccomandate, e, quasi sempre, voi siete la prima. e se, qualche volta, ma raramente, non venite per prima, venite per ultima per rimanere più a lungo. Si può dire di più? Ma per amore di Dio, che queste cose non vengano confidate a nessuno, perché ho veramente detto troppo, sebbene abbia parlato con assoluta verità e sincerità […] Se dessi retta a me stesso non metterei mai fine a questa lettera, scritta col solo intento di rispondervi. Voglio però terminarla chiedendovi una grande a ssistenza delle vostre preghiere. Io non prego mai senza avervi come partecipe delle mie suppliche, e non saluto i miei Angeli senza salutare anche il vostro. Ricambiatemi il favore e così faccia anche Celso Benigno [figlio della Chantal]

 L. 82 – «Prego questo santo benedetto è [Sainte – Claude] , testimone della sincerità e dell’integrità del cuore col quale vi amo nel nostro Signore e nostro comune Maestro, a impetrarvi dalla sua santa bontà l’assistenza dello Spirito Santo che ci è necessaria per entrare davvero nel riposo del tabernacolo della Chiesa. Sia detto una volta per sempre: sì, Dio mi ha dato a voi; voglio dire che mi ha dato in un modo unico, intero, irrevocabile». 

L. 83 – «Sono d’accordo che facciate vedere i miei consigli che si riferiscono alla vostra coscienza al vostro confessore, ma non le mie lettere, che sono un po’ troppo semplici e cordiali per essere vedute da altri occhi che non siano altrettanto semplici e pienamente corrispondenti alla mia intenzione tutta franca e leale nei vost ri confronti».

 L. 89 – «in quattro parole vi dirò ora qualcosa di me. Vorrei che poteste vedere perfettamente tutto il mio intimo, se le mie imperfezioni non vi scandalizzassero…… non vi dirò nulla della grandezza del mio cuore nei vostri riguardi: vi dirò solo che è molto superiore a tutto quello che si può immaginare. E il mio affetto per voi è candido come la neve e più puro del sole. Per questo durante questa lontananza, gli ho lasciato le briglie sul collo, permettendogli di correre a suo piacimento. Oh, Signore Dio! come si potrebbe dire quale consolazione debba essere, in Cielo, amarsi in un pieno mare di carità, quando i piccoli ruscelli di quaggiù ne possono procurare tanta?». 

L. 101– «… Che Dio mi renda davvero bambino nell’innocenza e nella semplicità! Ma non sono veramente semplice quando vi dico queste cose? Non c’è rimedio voglio farvi vedere il mio cuore così come è in tutta la varietà dei suoi movimenti, perché, come dice l’Apostolo [2Cor 12,6] , voi non pensate di me più di quello che è in me». 

L. 102 – «Coraggio, coraggio! Gesù è nostro: che i nostri cuori siano sempre i suoi. Egli mi ha reso, mia cara Figlia, e mi rende ogni giorno più, mi pare, o almeno, mi rende sempre più sensibilmente, sempre più soavemente del tutto, in tutto e senza riserve, unicamente, inviolabilmente vostro in Lui e per Lui, al quale sia onore e gloria per tutti secoli dei secoli insieme con la sua santa Madre». 

L. 103 – «Non potreste credere quanto il cuore si conferma sempre più nelle nostre risoluzioni e come tutto concorre a confermarlo maggiormente. Io provo una soavità straordinaria per tali risoluzioni, come anche per l’amore che vi porto, e amo questo amore in un modo incomparabile. Esso è forte, ampio, senza misura né riserva, ma dolce, facile, purissimo e tranquillissimo; in una parola, se non m’inganno, è un amore che vive solo di Dio, perché dunque non lo dovrei amare? ma dove vado io? non intendo più tornare su queste parole, che sono troppo vere e prive d’ogni pericolo. Dio che vede tutte le pieghe del mio cuore, sa che, in questo, non vi è nulla che non sia per Lui e secondo Lui, senza il quale non intendo essere nulla per nessuno, con non intendo che nessuno sia qualcosa per me, ma in Lui, intendo non solo conservare, ma nutrire, e molto teneramen te, questo affetto unico. Ma lo confesso, il mio spirito non aveva il permesso di effondersi in questo modo, è sfuggito al mio controllo, e bisogna perdonarlo per questa volta, a condizione che non ne faccia più parola». 

L. 106 – «E poiché il mio cuore mi spinge a comunicarvi ogni piccola consolazione che mi capita (cosa che non farei con nessun altra creatura), vi dico che, negli ultimi tre giorni, ho sperimentato un piacere incomparabile pensando al grande onore che ha un cuore che può parlare da solo a solo al suo Dio…» 

L. 111 – «Gesù, nelle viscere del quale la mia anima ama la vostra in un modo unico, sia sempre la nostra consolazione, Figlia mia». 

L. 117 – «…E quando io parlo della mia anima, intendo parlare della mia anima tutta intera compren – dendo, quindi, anche quella che Dio mi ha unita inseparabilmente…… […] Oh Dio! perché mai vi dico tutto questo, se non perché il mio cuore si apre e si spalanca senza riserve quando è a contatto col vostro?… […] Credete che la prima parola che vi scrissi, cio è che Dio mi aveva dato a voi, esprimeva la verità; e i sentimenti che ne derivano sono ogni giorno più forti nella mia anima». 

L. 120 – «Perché mai pensiamo che Egli abbia voluto fare dei due un cuore solo, se non perché questo cuore sia straordinariamente audace, valoroso, coraggioso, costante e innamorato del suo Creatore e del suo Salvatore nel quale e per il quale io sono tutto vostro?» . J . M . J .

PREGHIERA PER GLI AMICI – S. Anselmo

Signore, tu ci hai comandato di amare tutti gli uomini in te e per te: per tutti imploro la Tua clemenza.   Ci sono però molti per i quali Tu hai impresso nel mio cuore un affetto più intimo e familiare: a loro voglio bene con più ardore, per loro voglio pregare con più intensità.
Abbracciali nel Tuo amore, Tu che sei la fonte dell’amore, Tu che mi comandi di amarli e insieme me ne dai la capacità. Se la mia preghiera non vale ad ottenere per loro dei vantaggi perché ti è offerta da un peccatore, valga almeno perché nasce in risposta ad un Tuo comando.
Per te, dunque, che sei l’autore e la fonte dell’amore, per Te, e non per me, continua ad amarli, e fa’ che essi pure Ti amino con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta l’anima, così che possano volere, dire e fare solo quanto piace a Te e giova al loro bene.
La mia preghiera è troppo tiepida, poiché debole è la fiamma del mio amore, ma Tu, che sei ricco di misericordia, non misurare i doni che Ti chiedo per gli amici sul torpore delle mie invocazioni, ma come la Tua benignità supera ogni amore umano, così la Tua risposta trascenda lo scarso fervore della mia supplica.

Fa’ per loro e con loro, Signore, quanto li aiuta a procedere nel cammino che hai tracciato per loro, così che siano sempre e ovunque guidati e protetti da Te, fino a che raggiungano la sicurezza gloriosa del cielo. (S.  Anselmo)

Santificazione delle relazioni domestiche

Dagli scritti di Padre Adophe Tanquerey (1854 – 1932).
589.   La grazia non distrugge la natura ma la perfeziona. Ora le relazioni domestiche furono istituite da Dio stesso: volle che la specie umana si propagasse per mezzo della legittima e indissolubile unione dell’uomo e della donna, e che questa unione fosse ancor più rinsaldata dai figli che ne nascerebbero. Onde le intimissime e affettuosissime relazioni tra marito e moglie, tra genitori e figli, che la grazia del sacramento del matrimonio aiuta a rendere soprannaturali.

1° DELLE RELAZIONI TRA GLI SPOSI CRISTIANI.

590.   Assistendo alle nozze di Cana ed elevando il matrimonio cristiano a dignità di sacramento, Nostro Signore mostrò agli sposi che la loro unione può essere santificata e ne meritò loro la grazia.

A) Prima del matrimonio, l’amore cristiano, amore tenero e ardente, casto e soprannaturale, ne unisce i cuori e li prepara a sopportar più validamente i pesi della famiglia. La natura e il demonio tentano, è vero, d’insinuare in quest’affetto un elemento sensuale che potrebbe essere pericoloso per la virtù; ma i fidanzati cristiani, sorretti dalla pratica dei sacramenti, sapranno dominar questo elemento, e renderanno soprannaturale il mutuo amore, rammentandosi che tutti i nobili sentimenti vengono da Dio e a lui si devono riferire.

591.   B) La grazia del sacramento, unendone i cuori con vincolo indissolubile, ne affinerà e purificherà l’amore. […]

592.   C) Quando Dio dà loro dei figli, li ricevono dalla sua mano come un sacro deposito, li amano non solo come parte di sè stessi ma come figli di Dio, membri di Gesù Cristo, futuri cittadini del cielo; li circondano di continuo affetto e premura; danno un’educazione cristiana, studiandosi di formare in essi le stesse virtù di Nostro Signore, ed esercitano a questo fine con riguardo, delicatezza, forza e dolcezza, l’autorità data loro da Dio. Non dimenticano che, essendo rappresentanti di Dio, devono evitare quella debolezza che tende a viziare i figli e quell’egoismo che vorrebbe goderne senza formarli alla virtù e al lavoro. Con l’aiuto di Dio e degli educatori, che scelgono con la massima cura, ne fanno uomini e cristiani, esercitando così una specie di sacerdozio in seno alla famiglia; potranno quindi fare assegnamento sulla benedizione di Dio e sulla riconoscenza dei figli.

2° DEI DOVERI DEI FIGLI VERSO I GENITORI.

593.   A) La grazia, che santifica le relazioni tra gli sposi, perfeziona pure e rende soprannaturali i doveri di rispetto, di affetto e di obbedienza che i figli devono ai genitori.

a) Ci mostra nei genitori i rappresentanti di Dio e della sua autorità; a loro, dopo Dio, dobbiamo la vita, la sua conservazione e la buona sua direzione. Il nostro rispetto per loro deve quindi giungere fino alla venerazione: ammirando in essi una partecipazione della divina paternità, “ex quo omnis paternitas in cælis et in terra”, della sua autorità, delle sue perfezioni, Dio stesso dobbiamo venerare in loro.

b) L’affetto, la bontà, la sollecitudine loro verso di noi ci appariscono come un riflesso della provvidenza e della bontà divina, onde il nostro amor filiale diventa più puro e più intenso, giungendo persino alla più assoluta dedizione, tanto che saremmo pronti a sacrificarci per loro e dare, occorrendo, la vita nostra per salvar la loro; prestiamo quindi tutta l’assistenza corporale e spirituale di cui hanno bisogno, secondo tutta la nostra possibilità.

c) Vedendo in loro i rappresentanti dell’autorità di Dio, non esitiamo a obbedirli, in tutto, ad esempio di Nostro Signore che, per trenta anni, fu sottomesso a Maria e a Giuseppe: “et erat subditus illis”. Questa obbedienza non ha altri limiti fuori di quelli posti dallo stesso Dio, cioè che si è obbligati a obbedire più a Dio che agli uomini; ond’è che in ciò che riguarda il bene dell’anima, e specialmente rispetto alla vocazione, al solo confessore dobbiamo obbedire, dopo averlo informato delle condizioni di famiglia. Anche in questo imitiamo Nostro Signore, il quale, quando la Madre gli chiese perchè l’avesse abbandonata, rispose: “Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? Nesciebatis quia in his quæ Patris mei sunt, oportet me esse?” 593-3 Rimangono così salvi i diritti e i doveri di tutti.

594.   B) Entrando nel chiericato, abbandoniamo il mondo e fino a un certo punto anche la famiglia, per entrare nella grande famiglia ecclesiastica, e occuparci quindi innanzi principalmente della gloria di Dio, del bene della Chiesa e delle anime. Gli interni sentimenti di rispetto e d’affetto per i genitori non cangiano certo, anzi si affinano, ma le esterne manifestazioni dipenderanno quindi innanzi dai doveri del nostro stato; nulla dobbiamo fare per piacere ai genitori ove ne venga danno al nostro ministero. Il primo nostro dovere è di occuparci delle cose di Dio; ove dunque accadesse che il modo di vedere, i consigli, le esigenze loro si opponessero a ciò che da noi richiede il servizio delle anime, con dolcezza ed affetto ma con fermezza faremo loro intendere che, nei doveri del nostro stato, dipendiamo solo da Dio e dai superiori ecclesiastici. Continueremo però a onorarli, ad amarli, ad assisterli secondo tutta la possibilità compatibile coi doveri del nostro ufficio.

Cotesta regola s’applica pure, e a più forte ragione, a coloro che entrano in una congregazione o in un ordine religioso.
[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 – 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista – Imprimatur Sarzanæ, die 18 Novembris 1927, Can. A. Accorsi, Vic. Gen. – Desclée & Co., 1928]

La santificazione delle relazioni sociali

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Dagli scritti di Padre Adophe Tanquerey (1854 – 1932).
584.   Fin qui abbiamo parlato delle relazioni tra l’anima e Dio, sotto la guida del direttore. Ma è chiaro che siamo obbligati ad aver numerose relazioni con molte altre persone, relazioni di famiglia e d’amicizia, relazioni professionali, relazioni d’apostolato. Ebbene tutte possono e devono essere santificate e contribuire a rassodarci nella vita interiore. Per agevolar questa santificazione, esporremo i principii generali che devono regolare queste relazioni, facendone poi l’applicazione alle principali relazioni.

I. Principii generali.

585.   1° Nel disegno primitivo le creature erano destinate a portarci a Dio, ricordandoci ch’egli è l’autore e la causa esemplare di tutte le cose. Ma, dopo la caduta, esse ci attirano in modo che, se non stiamo all’erta, ci distolgono da Dio o almeno ci ritardano il cammino verso di lui. Bisogna quindi reagire contro questa tendenza, e, con lo spirito di fede e di sacrificio, servirci delle persone e delle cose soltanto come mezzi per andare a Dio.

586.   2° Ora, tra le relazioni che abbiamo con le persone, ve ne sono delle volute da Dio, come le relazioni domestiche o quelle richieste dai doveri del nostro stato. Tali relazioni devono essere mantenute e rese soprannaturali. Infatti non si diventa liberi da questi doveri pel fatto che si aspira alla perfezione; si è invece obbligati a compirli in modo più perfetto degli altri. Bisogna però renderle soprannaturali riconducendole al nostro ultimo fine che è Dio. Il mezzo migliore per farlo sta nel considerar le persone con cui siamo in relazione, come figli di Dio, fratelli in Gesù Cristo, rispettarle e amarle in quanto possedono doti che sono un riflesso delle perfezioni di Dio, e sono destinate a parteciparne la vita e la gloria. Così in esse consideriamo e amiamo Dio.

587.   3° Vi sono invece relazioni pericolose o cattive che tendono a farci cadere in peccato o col destare in noi lo spirito mondano, o coll’attaccarci alle creature per via del piacere sensibile o sensuale che proviamo in loro compagnia e al quale siamo esposti a consentire. Fuggire, per quanto è possibile, queste occasioni è cosa obbligatoria e, se non si può evitar l’occasione, è dovere l’allontanarla moralmente, rafforzando la volontà contro l’affetto disordinato a tali persone. Chi opera altrimenti, compromette la propria santificazione e la propria salute; perchè chi ama il pericolo in esso perisce: “Qui amat periculum, in illo peribit” 587-1. Quanto più dunque si vuol essere perfetti, tanto più si deve fuggire le occasioni pericolose, come spiegheremo più tardi parlando della fede, della carità e delle altre virtù.

588.   4° Finalmente vi sono relazioni che per sè non sono nè buone nè cattive ma semplicemente indifferenti, e che possono quindi, secondo le circostanze o l’intenzione, riuscir utili o nocive: tali sono, per esempio, le visite, le conversazioni, le ricreazioni. Un’anima che tende alla perfezione renderà buone queste relazioni con la purità d’intenzione e con la moderazione che serberà in ogni cosa. Prima di tutto non cercherà se non quelle che sono veramente utili alla gloria di Dio, al bene delle anime o a quel necessario sollievo che è richiesto dalla salute del corpo o dal bene dell’anima. Poi, nell’uso di queste cose utili, praticherà quella prudenza, quella modestia, quella temperanza, che tutto riconduce all’ordine voluto da Dio. Quindi via quelle lunghe conversazioni oziose che sono perdita di tempo e occasione di mancare all’umiltà e alla carità; via quei prolungati e smodati divertimenti che stancano il corpo e deprimono l’anima.
[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 – 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista – Imprimatur Sarzanæ, die 18 Novembris 1927, Can. A. Accorsi, Vic. Gen. – Desclée & Co., 1928]

Amare il silenzio

 

Amare il silenzio

by cordialiter
 
Tutte le anime che amano Dio amano anche la solitudine, perché nella solitudine è più facile raccogliersi ed elevare la mente al Signore. Nel silenzio e nella solitudine lo Spirito Santo parla al cuore delle sue anime dilette con parole che infiammano d’amore. Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor eius (Osee II, 14).
La virtù si conserva facilmente nella solitudine, mentre si perde facilmente nel conversare col mondo, ove poco si conosce Dio, e poco conto si fa del suo amore e dei beni che Egli dona a chi lascia tutto per amor suo. Diceva San Bernardo che lui aveva imparato molto più nella solitudine dei boschi che dai libri e dai maestri. Quindi i santi per vivere in solitudine e lontani dai tumulti del mondo hanno amato tanto le grotte, i monti e i boschi. La solitudine sarà una fonte perenne di allegrezza per quelle anime che la cercano: ella fiorirà come il giglio in bianchezza ed innocenza di vita, e produrrà i frutti di tutte le virtù. Queste anime felici un giorno saranno elevate a vedere la gloria del Signore e la sua infinita bellezza.
È certo che per mantenere l’anima unita con Dio bisogna conservar nella mente le idee di Dio e dei beni immensi che Egli prepara a chi lo ama. Ma quando noi abbiamo contatti col mondo, esso ci presenta le cose terrene, le quali cancellano le idee spirituali e ci privano dei sentimenti di pietà.
I mondani fuggono la solitudine perché nella solitudine si fan sentire i rimorsi delle loro coscienze, perciò costoro vanno cercando conversazioni e distrazioni di mondo. Al contrario, le anime che vivono con pace di coscienza non possono non amare la solitudine; e quando si trovano tra il baccano del mondo si sentono come pesci fuor d’acqua. È vero che l’uomo ama la compagnia; ma qual più bella compagnia che quella di Dio! Non apporta né amarezza né tedio l’allontanarci dalle creature per conversare intimamente col nostro Creatore.
Non è vero che la vita solitaria è vita malinconica; ella invece è un assaggio e principio della vita dei beati che godono un gaudio immenso nell’occuparsi solamente di amare e lodare Dio. I santi allorché vivono in solitudine sembrano soli, ma in realtà non stanno soli, stanno con Dio. Sembrano mesti, ma non sono mesti; il mondo, vedendoli lontani dai divertimenti terreni li giudica miseri e sconsolati, ma non è così; essi in realtà godono un’immensa e continua pace. Il Signore ben sa consolare un’anima che conduce una vita ritirata. Ella è sempre piena di gioia e d’allegrezza, e innalza ringraziamenti e lodi alla divina bontà.
 

Le vere amicizie

Dagli scritti di Padre Adophe Tanquerey (1854 – 1932).

 
L’amicizia può essere mezzo di santificazione o serio ostacolo alla perfezione, secondo che è soprannaturale o naturale e sensibile. […]


1° DELLE VERE AMICIZIE.

Ne diremo la natura e i vantaggi.

595.   A) Natura. — a) Essendo l’amicizia una mutua comunicazione tra due persone, si specifica innanzi tutto secondo la varietà delle comunicazioni e la qualità dei beni che si comunicano. Il che viene molto bene spiegato da S. Francesco di Sales: “Quanto più squisite saranno le virtù in cui comunicate, tanto più perfetta sarà l’amicizia. Se comunicate in scienze, l’amicizia è certamente assai lodevole; più lodevole ancora se comunicate in virtù, nella prudenza, nella moderazione, nella fortezza, nella giustizia. Se poi la vostra mutua comunicazione riguarda la carità, la devozione, la perfezione cristiana, oh Dio! quanto preziosa sarà l’amicizia! Sarà eccellente perchè viene da Dio, eccellente perchè tende a Dio, eccellente perchè ne è vincolo Dio, eccellente perchè durerà eternamente in Dio! Oh! che buona cosa è amare sulla terra come si ama in cielo e imparare ad averci in questo mondo quella reciproca tenerezza che ci avremo eternamente nell’altro!”

La vera amicizia è dunque in generale un’intima corrispondenza tra due anime per farsi scambievolmente del bene. Può restare semplicemente onesta, se i beni che si comunicano sono di ordine naturale. Ma l’amicizia soprannaturale è di ordine assai superiore. È un’intima corrispondenza tra due anime che si amano in Dio e per Dio, a fine di scambievolmente aiutarsi a perfezionar la vita divina che possedono. Fine ultimo ne è la gloria di Dio, fine immediato il progresso spirituale, e Gesù il vincolo di unione tra i due amici. Tal è il pensiero del Beato Etelredo […] che il Lacordaire traduce così: “Non posso più amar persona senza che l’anima prenda posto dietro il cuore e che Gesù Cristo venga a fare il terzo in mezzo a noi”.

596.   b) Perciò quest’amicizia, [invece] di essere appassionata, predominante, esclusiva come l’amicizia sensibile, ha per doti la calma, il riserbo e la mutua confidenza. È affetto calmo e moderato, appunto perchè fondato sull’amor di Dio ne partecipa la virtù; onde è pure affetto costante, che va crescendo, al rovescio dell’amore passionale che tende ad affievolirsi. Ed è accompagnata da savio riserbo: [invece] di cercar familiarità e carezze come l’amicizia sensibile, è piena di rispetto e di riservatezza, perchè non desidera altro che comunicazioni spirituali. Questa riservatezza non impedisce però la confidenza; mutuamente stimandosi e vedendo nella persona amata un riflesso delle divine perfezioni, si prova per lei confidenza grandissima, che è del resto reciproca; il che porta intime comunicazioni, perchè si brama di partecipare alle soprannaturali doti dell’amico. Si comunicano quindi i pensieri, i disegni, i desideri di perfezione. E bramando di scambievolmente perfezionarsi, non si peritano di avvertirsi dei difetti e di aiutarsi a correggerli. La mutua confidenza che regna tra i due amici impedisce all’amicizia di diventare inquieta, affannosa, esclusiva; non si ha per male che l’amico abbia altri amici, anzi se ne gode pel bene suo e per quello del prossimo.

597.   B) È chiaro che tale amicizia presenta grandi vantaggi. a) La S. Scrittura ne fa frequenti elogi: “Un amico fedele è tetto robusto, e chi lo trova ha trovato un tesoro… l’amico fedele è balsamo vitale […]. Nostro Signore ce ne diede l’esempio nell’amicizia che ebbe per Giovanni, il quale era conosciuto per “l’amato da Gesù, quem diligebat Jesus”. S. Paolo ha amici a cui porta profondo affetto; soffre della loro assenza e la sua più dolce consolazione è di rivederli; così è inconsolabile perchè non trova Tito al luogo convenuto […]; si rallegra appena lo ritrova […]. Si vede pure quale affetto nutriva per Timoteo e quanto bene gli faceva la sua presenza e che aiuto gli dava a farne anche agli altri; lo chiama quindi suo collaboratore, suo figlio, suo carissimo figlio, suo fratello […].

Anche l’antichità cristiana ci porge illustri esempi di amicizia: uno dei più celebri è quello di S. Basilio e di S. Gregorio Nazianzeno.

598.   b) Da questi esempi si deducono tre ragioni a mostrare quanto utile sia l’amicizia cristiana, specialmente per il sacerdote di ministero.

1) Un amico è una tutela rispetto alla virtù, protectio fortis. Noi sentiamo il bisogno d’aprire il cuore a un intimo confidente; il direttore risponde talora a questo bisogno, ma non sempre: la sua amicizia paterna è diversa dall’amicizia fraterna che cerchiamo noi. Abbiamo bisogno d’un nostro pari con cui poter discorrere con tutta libertà. Se non lo troviamo, correremo pericolo di far confidenze biasimevoli a persone che non sempre riusciranno innocue per noi e per loro.

2) È pure un intimo consigliere a cui apriamo volontieri i dubbi e le difficoltà e che ci aiuta a risolverli; è un monitore savio e affettuoso, che, vedendoci all’opera e sapendo ciò che si dice di noi, ci dirà la verità, facendoci così schivar talora molte imprudenze.

3) È finalmente un consolatore, che ascolterà amorevolmente il racconto delle nostre pene, e troverà nel suo cuore le parole necessarie per addolcirle e confortarci.

599.   Si può chiedere se queste amicizie siano da approvarsi nelle comunità, potendosi infatti temere che portino danno all’affetto che deve unire tutti i membri e che generino gelosie. Bisogna certamente badare che tali amicizie non rechino nocumento alla carità comune, e che siano non solo soprannaturali ma tenute entro i giusti limiti fissati dai superiori. Con queste riserve, anche coteste amicizie hanno i loro vantaggi, perchè i religiosi hanno essi pure bisogno d’un consigliere, d’un consolatore e d’un monitore che sia insieme un amico. Tuttavia anche nelle comunità, anzi più che altrove, bisogna premurosamente evitare tutto ciò che può aver colore di falsa amicizia.

[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 – 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista – Imprimatur Sarzanæ, die 18 Novembris 1927, Can. A. Accorsi, Vic. Gen. – Desclée & Co., 1928]

Ti ho cercato

Ti ho cercato

 
(Anselmo d’Aosta)
 
Ti ho cercato, o Signore della vita,
e tu mi hai fatto il dono di trovarti:
te io voglio amare, mio Dio.
Perde la vita, chi non ama te:
chi non vive per te, Signore,
è niente e vive per il nulla.
Accresci in me, ti prego,
il desiderio di conoscerti
e di amarti, Dio mio:
dammi, Signore, ciò che ti domando;
anche se tu mi dessi il mondo intero,
ma non mi donassi te stesso,
non saprei cosa farmene, Signore.
Dammi te stesso, Dio mio!
Ecco, ti amo, Signore:
aiutami ad amarti di più.