Archivio mensile:ottobre 2012

Percorsi di felicità

Grazie a Marco di “Innamorati di Maria ” per l’immagine.
( Per conoscere la vita di questi santi e testimoni del vangelo, leggere a piè di pagina in fondo al post. )

Oggi la chiesa celebra la festa di Tutti i Santi. Ci sono i Santi che tutti ricordiamo: Padre Pio, Madre Teresa, Papa Giovanni XXIII, Massimiliano Kolbe, Francesco d’Assisi, Antonio da Padova, ecc. Ma c’è anche una schiera sconosciuta di uomini e donne che hanno vissuto in maniera “santa” e che hanno rivestito una grande importanza per ciascuno di noi. Uomini e donne che magari non saranno in nessun calendario liturgico se non nel calendario del nostro cuore.

La festa di oggi ti dice: “Ringrazia i tuoi santi; ringrazia i tuoi angeli. Ringrazia tutte quelle persone che si sono avvicinate nel tuo cammino, che si sono affiancate con amore e ti hanno aiutato, ti hanno sostenuto, ti hanno dato una mano, ti hanno salvato la vita, ti hanno aperto visioni e finestre di vita diverse”.

Quando oggi siete tornati a casa, vi prendete un attimo di tempo, foglio e carta, scrivete i numeri da 1 a 31, i giorni di un mese, e per ogni giorno scrivete il nome di una persona importante per voi, una di quelle il cui aiuto, presenza, vicinanza, ci hanno fatto bene o sono state fondamentali, porti di salvezza. Poi ve lo mettete come un calendario vicino al comodino del letto e ogni mattina leggete il vostro santo. Vi sentirete in compagnia e sostenuti.

Santo, kadosh in ebraico, vuol dire “altro”. Dio è Santo perché è l’Altro, Colui che non puoi mai prendere, controllare, conoscere. Dio è troppo grande.
E’ attribuito a Sant’Agostino questo fatto: Agostino stava passeggiando lungo il mare e rifletteva sul mistero di Dio, mistero immenso e inesauribile. Ad un certo punto incontra un ragazzino che lungo la riva del mare aveva fatto una piccola buca. Poi con una piccola ciottola andava in acqua e metteva l’acqua del mare nella sua piccola buca; questo per molte volte. Il santo gli chiede: “Ma cosa stai facendo, bambino mio?”. E il bambino: “Sto mettendo l’acqua del mare tutta dentro la buca!”. “Ma non si può – rispose il santo – il mare è troppo grande per questa piccola buca”. E il bambino, dice la leggenda, rispose: “E tu come pensi di mettere e di comprendere Dio, che è immenso, nella tua piccola mente?”.
Dio è troppo grande, Dio ci sfugge, ci scappa. Quando le persone dicono: “Io, tutto sommato, conosco Dio”, dicono una grande falsità ed eresia. Dio è oltre, più in là. Ogni valico che raggiungi ti apre nuove e sempre più vaste strade e orizzonti.
Chi intraprende la strada della conoscenza di Dio, della Vita, del Mistero dell’essere, farà delle scoperte incredibili ma quante volte dovrà cambiare visione e quanto lontano andrà dai suoi iniziali punti di partenza! Questo, perché Lui è Troppo Grande!
Per questo si dice che Dio è un mistero: non lo puoi mai catturare, afferrare o possedere. Dio si può amare, cantare, seguire, pregare, invocare, ma non comprendere. Comprendere, nel senso letterale della parola, vuol dire abbracciare, afferrare, prendere-con la mia mente. Sì, abbiamo bisogno di capire chi è Dio e la mente e la riflessione ci servono, ma Dio non si può comprendere nel senso di possederlo, di saperlo del tutto. Per questo le persone razionali, fredde, mentali, fanno fatica ad accedere al mondo divino: perché Lui è l’incomprensibile, Colui che sfugge sempre.

Nella nostra testa santo uguale a perfetto. Ma la perfezione (per-ficere, fare per un motivo, per uno scopo) non è la santità. La perfezione è il tentativo di uscire dall’umanità. Siamo imperfetti per origine, quindi tentare di essere perfetti è impossibile a priori. Essere perfetti è il tentativo di essere superiori, più in alto degli altri. Ma se fossimo perfetti, che ce ne faremo degli altri? Basteremo a noi stessi!
La perfezione nasce dal bisogno insoddisfatto di quando eravamo piccoli. Quando un bambino non riesce ad essere amato e accolto per quello che è, che fa? Sviluppa quello che coglie può essere accolto e accettato, sviluppa quello che viene premiato. Vede che se fa “il bravo bambino”, che se si prende cura dei fratellini papà e mamma sono contenti di lui? Allora lui lo fa e diventa la baby-sitter dei suoi fratelli (il problema è che facendo l’adulto non fa il bambino e si crea un buco dentro di sé, come costruire un palazzo senza il primo piano! E’ solo questione di tempo: quel palazzo non può reggere).
Vede che se non piange, che se non canta, che se non urla, che se non da fastidio ai genitori, questi sono contenti di lui? Allora non canta, non urla e non piange più. Si tiene dentro tutto (e sappiamo bene che disastro è questa cosa).
Vede che se va benissimo a scuola i suoi genitori lo apprezzano? Allora cercherà di essere il migliore, il più bravo; si sentirà qualcuno e baserà la stima di sé solo nel risultato scolastico (ma la vita è ben più grande della scuola).
La perfezione è così: faccio una cosa (-ficere) così da avere (per-) qualcos’altro (amore, accoglienza, approvazione, stima, ecc).
I farisei rispettavano tutte le 613 leggi della Legge: erano perfetti. Erano perfetti per ottenere stima e riconoscimento dagli altri: “Ma che bravi! Quelli sì che sono santi! Quelli sono da imitare!”. Ma quei “perfetti” uccisero Gesù.
Erano “santi” perché avevano paura di vivere, avevano paura di esporsi, avevano paura di seguire la propria strada, avevano paura di individuarsi cioè di trovare il proprio unico sentiero da percorrere e per questo si conformavano. Erano senza identità, senza personalità: dietro la maschera non c’era niente. Perché più un uomo è senza personalità e più cercherà di conformarsi.
Quand’ero piccolo era stimatissima una coppia che andava a messa tutti i giorni, remissivi, disponibili fino all’esaurimento per tutti. Da tutti venivano stimati ed elogiati. Noi ragazzi li chiamavamo gli “zombi (i morti che vivono)” e nella nostra ingenuità forse avevamo colto nel segno: non erano capaci di dire di “no”, erano schiavi dal dover accontentare tutti (eccetto se stessi) e nel non poter deludere nessuno (soprattutto le figure religiose); dovevano pregare per paura (altrimenti Dio non li avrebbe più voluti).

Il santo non è questa figura. Basta vedere il vangelo e guardare di chi si circondava Gesù.
Il santo è uno “altro”. Non fa come tutti gli altri perché fare come tutti gli altri vuol dire sprecare la propria esistenza. Il santo è colui che ha la sua strada, che è “altra”, cioè diversa da tutte le altre strade. Lui fa la sua strada che è solo sua e di nessun altro.
Quando ti dicono: “Ma sei proprio diverso da tutti gli altri!”, e tu ti senti sbagliato perché non fai come tutti gli altri mentre così ti viene richiesto, dovresti rispondere: “Per fortuna!”. Per fortuna che sono un pezzo unico, originale, per cui ha senso il mio esserci.
Quando ti dicono: “Ma sei proprio strano, tu!”, come a dire: “Stai sbagliando perché non fai come gli altri”, dovresti rispondere: “Non strano, diverso!; non come tutti gli altri ma secondo il mio modo”.
Io ho un senso per l’universo. Cioè: c’è un senso e una ragione ben precisa per cui esisto in questo tempo e in questo spazio. Non sono qui a caso. Il mio esserci ha uno scopo. Quando faccio come gli altri, quando per paura abdico, rinuncio alla mia strada o copio gli altri per non espormi troppo, allora io rinuncio al motivo per cui ci sono. Faccio come un altro, ma il mio esserci non può essere come nessun altro, altrimenti non ci sarei (c’è già lui!).
L’amore è questo: “Tu non puoi diventare come me! Tu sei “altro” da me, hai una forma, una vita, uno scopo, che non è il mio. Se diventi come me tu rovini la tua vita. Se ti chiedo di diventare come me ti chiedo di sacrificare la tua vita. Ma se ti chiedo di diventare come me, forse, è perché io non sono diventato come me.

L’altra grande caratteristica del santo è la felicità. Quando i preti dicevano a noi ragazzi: “Chi di voi vuole diventare santo?”. Tutti noi dicevamo, in silenzio dentro di noi: “Io no, io no! Fa’ che non mi guardi, fa’ che non mi veda, che non lo chieda a me!”. E se il prete non te l’aveva chiesto, si diceva: “Uau!, scampato pericolo!”. Ci fa ridere, ma chiediamoci: cosa c’è dietro a questo rifiuto?
Nel nostro immaginario il santo è uno che deve rinunciare ad un sacco di cose. Santo, per noi, vuol dire “no” a questo, “no” a quello, niente divertimenti, niente sesso, niente amore, niente lasciarsi andare, niente slanci, niente emozioni. Se fosse così, speriamo che nessuno diventi santo perché sarebbe patologico! L’idea che abbiamo è che santo voglia dire privazione, sacrificio, rinuncia. Ma non è così. Guardate Gesù!
Santo vuol dire realizzazione di sé. Santo vuol dire: “Vivo per espandermi, per realizzare tutte le mie doti e tutte le mie dimensioni”. L’affettività, la spiritualità, il progetto di vita, la comunione, l’ascolto, il dialogo, l’amore, che tutto si espanda al massimo delle mie possibilità.
Santo vuol dire la vita scorre in me, che mi sento vivo e che si sente che sono vivo.
Santo vuol dire che sono felice di ciò che sono, di ciò che faccio, di come sono e di come lo faccio.
Santo vuol dire che ciò che faccio/sono lo faccio perché lo voglio, perché mi sento libero di farlo.
Santo vuol dire che questo è il miglior modo per realizzarmi ed essere me stesso.
Santo vuol dire che ho un fuoco dentro, una motivazione forte, e che per nessuna cosa al mondo lascerei la mia strada per farne un’altra: piuttosto la morte. Meglio una morte da vivi che una vita da morti.
Santo vuol dire che mi sento vivo, fecondo, centrato su di me, vibrante, realizzato.
Santo vuol dire che rido, scherzo, gioco, mi diverto, sorrido, perché se sei felice si vede e traspare.
Nella “Vita della beata Umiliana de’ Cerchi”, di fra Vito da Cortona, si racconta: “Mentre la santa giaceva nel suo letto, dentro la sua cella nella torre, ecco un bambino di quattro anni o poco più, dal volto bellissimo: giocava nella sua cella davanti a lei. Quando lo vide provò una grande gioia e gli disse: «O amore dolcissimo, o carissimo bambino, non sai fare altro che giocare?». E il bambino rispose: «Che volete che faccia?». E la benedetta Umiliana disse: «Voglio che tu mi dica qualcosa di bello su Dio». E il bambino disse: «Credi che sia bene che uno parli di se stesso». E disparve”.

Brano tratto dall’ Omelia di  don Marco Pedron

http://www.lachiesa.it

I santi dell’immagine, in ordine da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso:

Beata Chiara “Luce” Badano:  http://www.chiaraluce.orghttp://www.chiaralucebadano.itUno splendido disegno Io ho tutto: i 18 anni di Chiara Luce

Giulia Gabrieli: 
http://www.congiulia.comBiografiaUna sua bellissima testimonianza Il sorriso senza fine di Giulia


Chiara Corbella:  http://www.chiaracorbella.it/BiografiaTestimonianzaFuneraleHo bisogno di te


Giovanna Rita Di Maria (Kiri): http://giovannadimaria.altervista.orgGiovanna Rita Di María, Kiri: L’angelo che ha visitato la terra

Servo di Dio Carlo Acutis: http://www.carloacutis.com/“L’Eucaristia é la mia autostrada per il Cielo”

Serva di Dio Alexia Gonzáles-Barros: http://www.alexiagb.org/Biografia

Sonia Cutrona: Biografia

Servo di Dio Alberto Michelotti: http://www.albertoecarlo.it/Biografia di Alberto –  Insieme possiamo! Documentario su Alberto Michelotti e Carlo Grisolia

Servo di Dio Carlo Grisolia:  http://www.albertoecarlo.it/Biografia di CarloInsieme possiamo! Documentario su Alberto Michelotti e Carlo Grisolia

Santa Gemma Galgani: http://www.santagemma.orgDiario di Santa Gemma Galgani

Beato Piergiorgio Frassati: http://www.piergiorgiofrassati.org



"LA SANTITÀ A PORTATA DI TUTTI"



Il primo novembre si celebra anche la festa dei santi sconosciuti
di padre Luigi Borriello, ocd
ROMA, martedì, 30 ottobre 2012 (ZENIT.org) – All’Angelus de 1° novembre 2007, il Papa ricordava che «la santità non è una condizione di privilegio, in realtà diventare santo è il compito di ogni cristiano, anzi di ogni uomo!». 
Forse alcuni provano un certo disagio di fronte alla parola ‘santità’, anche se i cristiani sono ‘santi’ in virtù del battesimo.
Per rispondere alla vocazione universale alla santità, quindi, non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali;  è necessario innanzitutto ascoltare Gesù e poi seguirlo senza alcuna riserva. 
«Se uno mi vuol servire – afferma il Maestro – mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà» (Gv 12, 26). Chi lo ama con sincerità, come il chicco di grano sepolto nella terra, accetta di morire a sé stesso. Egli infatti sa che «chi ama la sua vita la perde, e, chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 25).
L’esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità, pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce, la via della rinuncia a se stesso. I Santi hanno perseverato nel loro impegno, «sono passati attraverso la grande tribolazione – si legge nell’Apocalisse – e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello» (Ap 7, 14).
La santità esige uno sforzo costante, a tutti possibile perché, più che opera dell’uomo, è anzitutto dono di Dio, tre volte Santo (cf Is 6, 3). È Dio, dunque, che per primo ci ha amati e in Gesù ci ha resi suoi figli adottivi.
Nella nostra vita tutto è dono del suo amore. Pertanto, quanto più imitiamo Gesù e Gli restiamo uniti, tanto più entriamo nel mistero della santità divina. Scopriamo di essere amati da Lui in modo infinito, e questo ci spinge, a nostra volta, ad amare i fratelli. Amare implica sempre un atto di rinuncia a se stessi, il “perdere se stessi”, e proprio così ci rende felici.
Le Beatitudini, che costituiscono la santità concreta dettataci dal Maestro, forniscono la fisionomia spirituale di Gesù, esprimendo il suo mistero di morte e risurrezione. Tale mistero, che è mistero della vera beatitudine, invita alla sequela di Gesù, quindi al cammino verso di essa. Nella misura in cui accogliamo la sua proposta e ci poniamo alla sua sequela – ognuno nelle sue circostanze – anche noi possiamo partecipare della sua “beatitudine”. Nel novero delle beatitudini ci siamo tutti: fra quelle nove ce n’è una proclamata e scritta per ciascuno di noi che deve indivi­duare e realizzare la propria missione nel mondo.
La santità si riceve da Cristo, come si diceva sopra, non è di produzione propria! Nell’Antico Testamento essere santi voleva dire “essere separati” da tutto ciò che è impuro; nell’accezione cristiana vuol dire piuttosto il contrario e cioè “essere uniti” a Cristo e separati dal peccato.
I santi, cioè i salvati, però, – va ricordato – non sono soltanto quelli elencati nel calendario o nell’albo dei santi. Vi sono anche i “santi sconosciuti”: quelli che hanno rischiato la vita per i fratelli, i martiri della giustizia e della libertà, o del dovere; i “santi laici”, come li ha chiamati qualcuno. Senza saperlo anche le loro vesti sono state lavate nel sangue dell’Agnello, se hanno vissuto secondo coscienza e hanno avuto a cuore il bene dei fratelli.
Un’ultima considerazione va tenuta presente e spiegata: la Chiesa è santa e peccatrice. Nella professione di fede della Chiesa preghiamo: “Credo nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”. Santa vuol dire che, in quello che viene da Dio, è santa, poiché è unita a Cristo, il Santo, che, con il Padre e lo Spirito, l’ha amata e si è donato per essa per santificarla. La Chiesa è il popolo santo di Dio e i suoi membri sono chiamati santi (Catechismo n. 823).
Dove esiste la pratica dell’amore, della giustizia e del bene, lì è presente la Chiesa santa, ovunque,  anche in  coloro che non udirono mai il messaggio del Vangelo, anche  lì sussiste la Chiesa santa.  Coloro che vivono così sono santi. Tutto il popolo di Dio è santo nella sua costituzione.
La santità delle persone, però, non è qualcosa al di fuori della realtà: accade giorno per giorno attraverso l’amore che è l’anima della santità. Teresa di Lisieux scriveva: «Compresi che la Chiesa aveva un corpo, composto di differenti membri… compresi che la Chiesa aveva un cuore, e che questo cuore ardeva di amore” (Autobiografia B 3v). L’amore vissuto da ogni membro, e da parte di tutti, realizzala santità. Tutti sono chiamati a vivere questa santità che non viene  offuscata dalla fragilità dei suoi membri.
Ma ritorna spontanea la domanda: «Come una Chiesa può essere santa avendo errori e difetti?» Da parte di Dio essa è santa, da parte delle persone che la compongono, c’è il cammino di santificazione. Per questo preghiamo: «Chiesa santa e peccatrice» (Preghiera Eucaristica V). Nella terra, la Chiesa è rivestita di una vera, anche se imperfetta, santità (Catechismo n. 825).
Il corpo di Cristo santo e immacolato, è composto di peccatori che camminano nella ricerca della santità.  Sapere che ci sono difetti e che si deve migliorare è una delle grandi forze della Chiesa. Se la si giudicasse perfetta non potrebbe crescere né scoprire i mali che potrebbero corromperla. E per questo è sempre pronta a purificarsi e convertirsi. Se fosse solo umana, la Chiesa sarebbe già scomparsa. Anche con i fallimenti, essa cammina, avendo bisogno di convertirsi sempre più al vangelo.  
La Chiesa è composta di peccatori e santi. Fu costituita da Cristo proprio così per essere un faro per l’umanità, pellegrina sulla terra. Attraverso i secoli ha dato e continua a donare il suo contributo per il bene delle persone, come si può osservare nelle molteplici attività in cui prende parte nel sociale, a tutti i livelli.  La più grande opera della Chiesa è stata quella di aprire al mondo i tesori della redenzione che Cristo gli ha affidato inviando gli apostoli a continuare la sua presenza e missione. Così essa  è promotrice di santità fra gli uomini. Le fragilità umane assunte dal Verbo incarnato mostrano che c’è posto per tutti nella Chiesa che accoglie tutti come ha fatto Gesù stesso.

Descrizione dettagliata di come appare la Regina della Pace a Medjugorje


“Nei primi delle apparizioni della Madonna a Medjugorje, una signora scattò un intero rullino nel punto dove guardavano i sei veggenti durante l’estasi dell’apparizione. Quando poi fece sviluppare il rullino fotografico constatò che tutte le foto erano bruciate tranne questa bellissima immagine dove si vede bene il volto della Madonna”

Descrizione dettagliata di come appare la Regina della Pace a Medjugorje


In molti, ed in molti modi, hanno interrogato i veggenti sull’aspetto della Vergine e su quanto in generale accade nella parrocchia di Medjugorje. In tutto questo è riuscito particolarmente bene Fra Janko Bubalo appartenente ai francescani dell’Erzegovina e letterato. Ha seguito fin dall’inizio le apparizioni a Medjugorje. Per anni è venuto a Medjugorje a confessare ed ha quindi acquisito esperienza sulla spiritualità di Medjugorje, come testimonia la pubblicazione del suo libro “Mille incontri con la Vergine a Medjugorje” (1985). Ha riscosso successi e premi a livello mondiale. Nel libro la veggente Vicka parla delle sue esperienze. In aggiunta a questa conversazione, Fra Janko ha parlato degli stessi argomenti anche con gli altri veggenti. Alla fine ha pubblicato solo il colloquio con Vicka poiché gli è sembrato che lei avesse risposto in maniera più esauriente alle sue domande. Le opinioni di tutti gli altri veggenti non si discostavano dalle sue. Come già detto, ha parlato più volte con i veggenti dell’aspetto della Madonna e nulla è stato pubblicato che essi non avessero preventivamente approvato.

E’ trascorso del tempo e si sono moltiplicati i tentativi di rappresentare l’immagine della Vergine. Numerosi tentativi sono risultati in contrasto con quello che i veggenti avevano detto. Per far ordine in tutto questo Fra Janko, nonostante la sua età (è nato nel 1913), ha deciso di fare un altro tentativo. Ha consegnato a tutti i veggenti un elenco di domande che riguardano l’immagine della Vergine. La maggior parte dei veggenti ha accettato il tentativo di Fra Janko (Ivan Dragićević, Vicka Ivanković, Marija Pavlović, Ivanka Ivanković e Mirjana Dragićević). Tutti hanno controfirmato le proprie risposte il 23 luglio 1992. Jakov Čolo non ha risposto al questionario per giustificati motivi, ma è d’accordo con quello che hanno detto gli altri veggenti e non ha nulla da aggiungere.

Riportiamo di seguito l’elenco di domande ed in breve le risposte dei veggenti.

1. Innanzitutto ditemi: Voi che La vedete di persona quanto ritenete che sia alta la Vergine?
Circa 165 cm – tanto quanto me. (Vicka)

2. Vi sembra slanciata o…?
Sembra slanciata.

3. Quanto potrebbe pesare?
Circa 60 kg.

4. Quanti anni Le dareste?
Da 18 a 20.

5. Quando è insieme al Bambino Gesù sembra più vecchia?
Sembra sempre la stessa, uguale.

6. Quando la Vergine è con voi è sempre presente o …
E’ sempre presente!

7. Dove si trova?
Su una piccola nube.

8. Di che colore è questa nube?
La nube è biancastra.

9. L’avete mai vista in ginocchio?
Mai! (Vicka, Ivan, Ivanka…)

10. Naturalmente la vostra Madonna ha un viso. Com’è? Tondo o allungato – ovale?
E’ piuttosto allungato – ovale – normale.

11. Di che colore è il Suo viso?
Normale – è bianco e roseo sulle gote.

12. Di che colore è la Sua fronte?
Normale – bianca come il Suo viso.

13. Come sono le labbra della Vergine – carnose o sottili?
Normali – belle – piuttosto sottili.

14. Di che colore?
Rosate – un colore naturale.

15. La Vergine ha delle fossette in viso, così come tutti gli altri uomini?
Solitamente non ne ha – forse un po’ quando sorride. (Mirjana)

16. Normalmente si nota un sorriso sul Suo viso?
Forse – si tratta piuttosto di una beatitudine indescrivibile – il sorriso sembra come un qualcosa sotto pelle. (Vicka)

17. Di che colore sono gli occhi della Madonna?
Sono meravigliosi! Spiccatamente azzurri. (tutti)

18. Normali o…?
Normali – forse un po’ più grandi. (Marija)

19. Come sono le Sue ciglia?
Delicate – normali.

20. Di che colore sono le sue ciglia?
Normali – non sono di un colore particolare.

21. Sottili o…
Regolari – normali.

22. Naturalmente la Madonna ha anche un naso. Com’è? Appuntito o …?
Bello, piccolo (Mirjana) – normale, proporzionato al viso. (Marija)

23. E le sopracciglia della Madonna?
Le sopracciglia sono delicate – normali – nere.

24. Com’è vestita la vostra Madonna?
Indossa un semplice abito da donna.

25. Di che colore è il Suo abito?
L’abito è grigio – forse un po’ grigio-azzurro. (Mirjana)

26. L’abito è stretto intorno al corpo o cade liberamente?
Cade liberamente.

27. Fin dove arriva il Suo abito?
Arriva fino alla nuvola su cui si trova – si perde nella nuvola.

28. E fino a che punto attorno al collo?
Normale- fino all’inizio del collo.

29. Si vede una parte del collo della Vergine?
Si vede il collo, ma non si vede nulla del suo busto.

30. Fin dove arrivano le maniche?
Fino alle mani.

31. L’abito della Vergine è orlato?
Non, non lo è.

32. La vita della Madonna è cinta da qualcosa?
No, nulla.

33. Per quello che voi potete vedere, sul corpo della Vergine si scorge la femminilità del Suo corpo?
Naturalmente sì! Ma nulla di particolare. (Vicka)

34. La Vergine ha qualcos’altro oltre all’abito appena descritto?
Ha un velo sul capo.

35. Di che colore è questo velo?
Il velo è bianco.

36. Tutto bianco o….?
Tutto bianco.

37. Cosa le copre il velo?
Il velo Le copre il capo, le spalle e tutto il corpo, la schiena ed i fianchi.

38. Fin dove Le arriva?
Fino alla nuvola, come l’abito.

39. E davanti fin dove La copre?
Le copre la schiena ed i fianchi.

40. Il velo sembra più consistente dell’abito della Vergine?
No – è simile all’abito.

41. Su di esso ci sono gioielli?
No, nessun gioiello.

42. E’ bordato?
Non, non lo è.

43. La Vergine indossa gioielli in generale?
Nessun gioiello.

44. Ad esempio sul capo o attorno al capo?
Sì, sul capo ha una corona di stelle.

45. Ha sempre le stelle attorno al capo?
Normalmente le ha – le ha sempre. (Vicka)

46. Anche quando appare con Gesù?
Anche allora.

47. Quante stelle la circondano?
Dodici.

48. Di che colore sono?
D’oro – dorate.

49. Sono unite tra loro?
Sono unite in qualche modo – come se fossero ferme. (Vicka)

50. Si vedono i capelli della Vergine?
Si vedono un po’ di capelli.

51. Dove si vedono?
Un po’ sopra la fronte – sotto il velo – sul lato sinistro.

52. Di che colore sono?
Neri.

53. Si vedono le Sue orecchie?
No, non si vedono mai.

54. Come mai?
Il velo Le copre le orecchie.

55. Cosa guarda di solito la Madonna durante le apparizioni?
Solitamente guarda noi – talvolta qualcos’altro, quello che indica.

56. Come tiene le mani?
Sono libere, liberamente aperte.

57. Quando tiene le mani giunte?
Quasi mai – forse qualche volta durante il “Gloria al Padre”.

58. Le muove o gesticola durante le apparizioni?
Non gesticola, a meno che non indichi qualcosa.

59. Quando le Sue mani sono aperte, com’è rivolto il palmo?
I palmi solitamente sono rivolti verso l’alto – anche le dita sono distese.

60. Si vedono anche le unghia?
Si vedono in parte.

61. Come sono – di che colore?
Un colore naturale – bianche candide.

62. Avete mai visto i piedi della Madonna?
No – mai – sono nascosti dall’abito.

63. Ed infine, la Vergine è davvero bella come dite?
In realtà non ti abbiamo detto niente a riguardo- la Sua bellezza è indescrivibile – non è una bellezza come la nostra – è qualcosa di paradisiaco – qualcosa di celeste – qualcosa che vedremo solo in Paradiso – e questa è una descrizione molto limitata.


Grazie ad Enzo per la segnalazione

Messaggio del 25 Ottobre 2012



“Cari figli! Anche oggi vi invito a pregare per le mie intenzioni. Rinnovate il digiuno e la preghiera perché satana  è astuto e attira molti cuori al peccato e alla perdizione. Io vi invito figlioli alla santità e a vivere nella grazia. Adorate mio Figlio affinché  Lui vi colmi con la Sua pace e il Suo amore ai quali anelate. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”

Testimonianza di Roland, Figli del Divino Amore

Testimonianza di Roland Patzleiner

tratta da “Madre di Misericordia” di fra Francesco Maria Rizzi, Editrice Shalom

Mi chiamo Roland Patzleiner e faccio parte della comunità religiosa Figli del divino amore. Da anni vivo nella nostra casa di Medjugorje e presto servizio insieme ai miei fratelli, presso la parrocchia di San Giacomo con il ministero del canto. Ho 37 anni e sono nato a Bolzano, nell’Alto Adige. La mia famiglia è di madrelingua tedesca; la nostra cultura è austriaca Sono cresciuto in un ambiente cattolico e in una famiglia credente con tradizioni cattoliche. Dalla quinta elementare in poi ho fatto il chierichetto per nove anni nella mia parrocchia.

A scuola mi trovavo spesso a disagio perché facevo fatica a seguire ciò che facevano gli altri e ad essere diligente. Ero un tipo piuttosto introverso. In famiglia mancava il dialogo e non c’era la preghiera, fuorché quella dei pasti. Così crescendo negli ambienti scolastici e tra gli amici, a 13 anni ho iniziato a fumare e a bere alcool.

Ero ad una festa di compleanno dove ho sperimentato la prima volta l’effetto dell’alcool bevuto in eccesso e quella gioia e apertura che avevo vissuto si trasformarono per me in una realtà da ambire per sfuggire dalle cose che non riuscivo ad affrontare, legate al sacrificio e alla sofferenza, necessarie per crescere e vivere la vita. Quando finii la scuola media lasciai il servizio di chierichetto e mi allontanai dai sacramenti. La mia casa si trasformò in albergo dove andavo solo per mangiare e dormire e la mia pseudo-famiglia diventarono i cosiddetti amici e compagni di strada. La situazione interiore di instabilità e fragilità si manifestava sempre di più con l’incapacità di concludere qualcosa di buono. All’alcool e alla sigaretta si aggiunse ben presto la droga leggera e poi tutti gli altri tipi di droga più pesante, anche se ho avuto la grazia di non usare mai le siringhe.

Ho iniziato tre scuole superiori e non sono riuscito a finire neanche un anno. Poi ho abbandonato la scuola e ho iniziato a lavorare. Anche lì non riuscivo a resistere più di sei sette mesi in un posto, poi dovevo cambiare. Dai 14 ai 21 anni sono cresciuto in questo modo, maturando in me una inconsistenza e fragilità interiore grandissime. La musica era per me un altro elemento importante della mia vita. Da piccolo avevo già imparato a suonare la chitarra. Suonavo nei gruppi e seguivo i grandi idoli della musica Rock e del Heavy Metal.

Una volta in casa, con mamma e papà mi arrabbiai per una cosa e dentro di me si scatenò un odio e una ribellione tale che, come tante altre volte, andai nel soggiorno sbattendo dietro di me la porta con violenza e chiudendola a chiave, per ascoltare a tutto volume la musica che disturbava tutto il condominio, la musica del mio gruppo preferito, all’epoca i Krokus, gruppo svizzero di Heavy Metal, sentendo dentro di me che si alimentavano i miei sentimenti di ribellione. Ho specificato il gruppo perché mi rimase impresso che il chitarrista di quel gruppo (mio grande idolo), tempo dopo si tolse la vita. Tali erano i miei personaggi da imitare e per i quali sentivo simpatia, nonostante non li avessi mai incontrati.

Quello che volevo realizzare nella mia vita era diventare un chitarrista di quelli famosi, virtuosisti, e con la droga e l’alcool “pacificare e nutrire il mio interiore”. Questa era la prospettiva della mia vita. Quante ore trascorse nel nostro luogo di ritrovo che si chiamava “panchina”, dove ci si aspettava per drogarsi insieme e poi fare dei giri in città per combinare qualcosa. Nella mia chiusura e distorsione, crescevo senza imparare a relazionare e a scoprire cosa è la vita. L’altro sesso era solo oggetto di desiderio, era lontano da me sapere cosa voleva dire amarlo. Le compagnie che frequentavo erano coinvolte in spiritismo e anche se io non partecipavo a queste cose, il male, comunque, mi aveva lo stesso legato e abbindolato.

La droga mi indeboliva la volontà. Non volevo niente di preciso, solo quello che secondo me serviva al momento per star bene, tranquillo. Un giorno, un mio amico mi voleva presentare allo stregone della mia città, che si chiamava con il soprannome “dente avvelenato”, ma grazie a Dio, non l’ho mai incontrato. Mi ricordo alcuni avvenimenti che mi sono accaduti quando ero particolarmente sotto l’influsso delle droghe e uno di questi è ciò che segue: una sera camminavo in un vicolo stretto e buio che si trovava vicino alla casa di un amico che stavo aspettando, ero abbastanza “fuori”; ad un tratto, e mi vengono i brividi a ricordarlo, passò accanto a me un uomo snello, alto, vestito con un frack nero, un cappello e un bastone ma non potevo vedere la sua faccia, poi lo vidi scomparire fisicamente mentre si allontanava e rimasi impietrito.

Solo molto tempo dopo, dopo la conversione, capii il significato di quell’esperienza, cioè, che con la vita che conducevo satana camminava al mio fianco.

Con le diverse esperienze del male, il maligno voleva far maturare in me la fuga finale: il suicidio, perché nei momenti di riflessione, non potevo trovare il senso della vita.

Ero favorito dalla mia abilità acquisita di sfuggire la realtà, la fatica, la sofferenza, e coerente con dottrine trasmesse dagli spiriti del male attraverso la musica satanica e il mio egoismo: non rimaneva altro che compiere la grande fuga.

Questo era il sottile intento che stavo maturando in quella condizione di uno che è lontano da Dio, da se stesso, dalla sua famiglia e dalla realtà.

In quegli anni di tenebre i miei genitori, già da tempo, avevano incominciato a frequentare un gruppo del Rinnovamento carismatico tedesco ed erano venuti a Medjugorje la prima volta. Pregavano tanto per me insieme ad altri. Mia mamma, quando venne a Medjugorje, sentiva che doveva riuscire a portarmi là, aveva posto tutte le sue speranze nella Mamma celeste.

Marisa Baldessari di Bolzano, organizzava ogni mese un pullman per Medjugorje e tante volte mia mamma mi diceva: “Roland guarda a Medjugorje appare la Madonna , vai!” E io rispondevo: “Sì. sì…!” Non avevo nessun interesse. Un giorno mia mamma insieme a Marisa sono riuscite nel loro intento di farmi arrivare a Medjugorje, perché insistevano tanto, e quel poco di buono che era in me, non poteva più rifiutare, perché dicevano che il viaggio era gratis.

Accettai per far tacere mia mamma. Mi ricordo, non andai neanche in chiesa, né sulla collina delle apparizioni, né sul Krizevac, l’unica cosa che mi interessava nell’87, era il tabacco.

Tornai a casa, continuando la mia vita. Ben presto la mia situazione peggiorò a tal punto che dissi nel mio cuore: “Se non cambierà qualcosa nella mia vita entro breve, la faccio finita”. Dieci giorni dopo mi trovai a Medjugorje.

All’arrivo la Mamma celeste mi liberò dalla droga e da altri vizi e incominciai a seguire ciò che facevano i pellegrini. A Medjugorje mi sentivo a casa.

Quando ero sulla collina delle apparizioni, sul Krizevac, in chiesa, quando camminavo sui sentieri tra i campi sentivo una pace e un amore grande che mi avvolgeva. Mi sentivo accettato e amato.

Fin dall’inizio mi rimase impressa Jelena Vasilij, perché Marisa ci portava sempre da lei, all’incontro e perché mi piaceva tanto quella ragazza, era dolce e bella ed emanava qualcosa di speciale. L’esperienza che mi ha aiutato di più ad introdurmi nella vita spirituale e a vivere la fede è stata quella della preghiera comunitaria nella chiesa di Medjugorje, poi quella dei gruppi di preghiera e della comunità.

Sentivo una forza che mi aiutava a superare tante cose che altrimenti avrebbero impedito l’apertura del mio cuore alla grazia.

Dopo quel pellegrinaggio feci il primo tentativo di cambiare vita. Tornato a casa però dopo poco tempo incontrando gli amici, ricaddi fino a usare di nuovo la droga. Ci voleva poi sempre tanta grazia per riuscire ad uscire di nuovo ed era impossibile senza distacco dagli ambienti cattivi e senza Medjugorje. Così un’altra volta, mia mamma era riuscita a convincermi a tornare a Medjugorje, ma non volevo lasciare la droga leggera perché ero iperconvinto che non era poi una cosa così malvagia e grave e che si poteva usare anche vivendo normalmente. Invece non è assolutamente così.

È stata proprio quella ad indebolirmi la volontà, e le facoltà spirituali di conseguenza, a tal punto da non riuscire a lottare e contrappormi al male. Per farmi capire questo, la Mamma celeste mi fece capitare ciò che segue: quella volta, quando dovevo partire per Medjugorje, decisi di prepararmi gli spinelli per il viaggio e una piccola quantità di droga da prendere con me per quei giorni.

I miei mi portarono al luogo dove partiva il pellegrinaggio. Mia mamma aspettava sempre finché il ‘ pullman non fosse partito, perché aveva paura che io scendessi all’ultimo momento dall’autobus e sparissi per alcuni giorni. Ero capace di farlo.

Avevo nascosto nella tasca interna della mia giacca gli spinelli e l’altra roba e avevo messo la giacca su un sedile dell’autobus dove mi ero piazzato. Non c’erano giovani in quel pellegrinaggio, : c’era più gente anziana. Partiti da Bolzano, non vedevo l’ora che arrivassimo alla dogana tra l’Italia e l’Austria, per poter fumare il mio spinello e alleggerirmi il viaggio così lungo.

Arrivati lì, scesi tranquillamente prendendo la mia giacca e mi nascosi in un posto appartato. Infilai la mano nella tasca interna della giacca e non trovai più la scatolina. Mi prese un colpo: agitatissimo cercai in tutta la giacca, ma niente.

Corsi al pullman e cercai sotto il sedile ovunque poteva essere caduto, ma niente. Nessuno poteva averlo rubato o preso perché: 1. nessuno sapeva di questa cosa, neanche i miei a casa, 2. nessuno sul pullman poteva essere interessato a quella roba.

Allora in quel momento accadde in me una esplosione così forte che mi spaventai di me stesso, perchè in tutta la vita non avevo mai sperimentato una violenza così forte dentro di me. Non mi riconoscevo assolutamente e dovetti constatare che quelle sostanze, che io consideravo innoque, non erano poi così tanto innoque per causare una reazione tale. Decisi dentro di me di tornare indietro perché il legame e la dipendenza con la droga era così forte che vedevo con gli occhi della mente il cassetto con dentro il blocco di roba che avevo a casa, coperto con la pellicola d’alluminio. Ma eravamo in Val Pusteria, era mezzanotte e non c’era traffico, né c’erano treni che passavano a quell’ora.

Non si può descrivere come continuai quel viaggio. Arrivati a Medjugorje mi calmai e presi coscienza piano piano. In quel viaggio ebbi una liberazione che si concluse con una lunga confessione, con Padre Philip ofm, che all’epoca era qui a Medjugorje e parlava l’inglese. :

Mi aiutò nella confessione facendomi domande sull’occultismo su ciò che avevo fatto e non avevo fatto, e mi ricordo che piangevo tanto e anche per giorni non sapendo esattamente perché.

Fu allora che, nel viaggio di ritorno, dissi a Marisa: “Non voglio più tornare a casa e stare bene per una settimana e poi ricadere” e le chiedevo cosa significassero le parole di Maria Regina della pace: “Decidetevi per Dio” che mi risuonavano continuamente. Aprendomi a lei, il Signore mi diede la grazia di desiderare e decidermi ad iniziare a pregare ogni giorno un Rosario e andare alla santa Messa ogni giorno. La grazia più grande è stata quella di abbandonare, per me fu un atto eroico, tutti gli amici con cui ero cresciuto nel mondo della musica e della droga.

Fu dura, perché desideravo avere relazioni sane, che avevo iniziato a sperimentare a Medjugorje. Il tempo di prova, di solitudine, non è stato lungo. Poi la Mamma celeste mi ha fatto incontrare il mio primo gruppo di preghiera nella chiesa dei Tre Santi a Bolzano, dove ho incontrato altri amici veri.

Il cuore viene riempito di stupore e gratitudine quando si riesce ad intravedere l’infinita bontà e l’amore con cui Dio, per mezzo di Maria, predispone i suoi disegni provvidenziali per la nostra salvezza. Io fui affidato alle preghiere di un sacerdote che avevo visitato insieme alla mia famiglia a Padova, molti anni prima della mia conversione, Pater Leo Haberstroh. La chiesa di Tre Santi a Bolzano non è la mia parrocchia, ma ho iniziato il mio cammino di conversione nella cappella di quella chiesa e mi sono sempre chiesto come mai il Signore mi ha fatto capitare lì. Poteva essere la mia parrocchia o un altro posto ma sentivo un calore fortissimo in quella cappellina. Il parroco di quel tempo era tanto forte e simpatico, mi ha aiutato molto, si chiamava Don Augusto ed era stato missionario in Brasile. Vorrei, come già detto, riuscire a testimoniare come lavora Dio e la Madonna , quanto è importante la fede e quanto è importante rispondere alla chiamata di Maria Regina della Pace per la propria vita e per quella degli altri e credere che la nostra preghiera e il nostro sacrificio sono importanti anche se spesso non vediamo il frutto.

La Mamma celeste ha detto a Fatima: “Tante anime vanno all’inferno perché non c’è nessuno che prega e si sacrifica per loro.” A Medjugorje continua ad invitare alla preghiera e al sacrificio: “Senza le vostre preghiere non posso realizzare ciò che desidero”.

Il sacrificio e la preghiera di quel sacerdote, insieme a quello dei miei cari e di coloro che Dio ha voluto usare per la mia salvezza, ha fatto sì che io potessi uscire da una situazione dalla quale non potevo uscire da solo perché il male mi aveva intrappolato e imprigionato e aveva inibite le facoltà necessarie per una libera e volontaria risposta all’amore di Dio e alla sua salvezza.

Sono riuscito a cogliere questa realtà in quel giorno in cui ho ritrovato l’immaginetta ricordo di quel sacerdote, sulla quale c’era descritta brevissimamente la sua vita e diceva che lui era stato promotore e guida del gruppo di preghiera del rosario a Bolzano, proprio in quella cappellina della chiesa dei Tre Santi, avviato nel 1982, dopo l’inizio delle apparizioni a Medjugorje.

Con il dono della musica, che usai sempre più per accompagnare i momenti di preghiera, incominciai a frequentare almeno tre, quattro gruppi di preghiera alla settimana.

Nel 1990 feci qualcosa che fu, che è e che sarà, fino alla fine della mia vita terrena, un sostegno e un atto decisivo per compiere sempre la volontà di Dio, per la mia salvezza e di coloro che il buon Dio mi vorrà affidare: la consacrazione di me stesso a Gesù, Sapienza incarnata, per mezzo di Maria, secondo San Luigi Grignon de Montfort.

I miei pellegrinaggi a Medjugorje hanno maturato in me quel desiderio che mi fece fare la preparazione alla consacrazione per trenta giorni, quotidianamente, meditando e pregando ciò che il Montfort suggerisce.

Ogni settimana mi incontravo con un gruppo a Merano vivendo insieme un momento di questa preparazione per poi compiere insieme l’atto di consacrazione nel giorno mariano stabilito che fu il 1 maggio del 1990, a Schio.

Nello stesso anno, mi ricordo, ebbi la grazia di vivere una esperienza di fede bellissima, in cui sperimentai la provvidenza di Dio e l’amore della Mamma celeste e la sua vicinanza. Bisogna, in questo caso tenere presente che io non ero mai riuscito a concludere niente di serio nella vita, come scuole e corsi, anche nei diversi lavori che avevo iniziato non riuscivo ad essere perseverante. Ero irrequieto, instabile e sempre alla ricerca di novità.

Ero tornato a casa dopo una delle mie permanenze prolungate a Medjugorje. Erano i primi di gennaio. I miei genitori e conoscenti sapevano che ero così, ma vedevano anche i miglioramenti che avevo fatto con l’aiuto di Medjugorje. Volevo dare consolazione ai miei, mostrando loro che volevo mettere a posto la mia vita con l’aiuto di Maria Regina della Pace. Decisi di andare a lavorare.

Mio padre, attraverso un amico di un gruppo di preghiera, mi procurò un lavoro come magazziniere. Incominciai il lavoro nel mese di febbraio. Ogni giorno andavo a Messa e non andavo a dormire senza aver pregato un rosario.

Al lavoro andavo bene e in breve tempo, dopo alcuni mesi, mi proposero di diventare capo-magazziniere. Ma cosa era successo? Nel mio cuore sentivo sempre più fortemente che dovevo tornare a Medjugorje, non sapevo perché, come, e quando, sapevo solo che dovevo tornare.

Ora, il problema era enorme, e quasi impossibile da gestire: non volevo deludere mio papà, dando l’ennesimo segno di incostanza; l’amico del gruppo di preghiera che aveva fatto sì che trovassi il lavoro, chissà cosa avrebbe pensato e infine il capo della ditta, che mi stimava e mi aveva offerto la promozione, cosa avrebbe detto? Per la mia fragilità mi sembrava una situazione insormontabile. L’unica cosa che potevo fare era continuare a pregare e offrire le sante Messe dicendo alla Mamma celeste che se mi voleva a Medjugorje ci doveva pensare Lei, perché per me, umanamente, era impossibile. Non passò molto tempo ed ebbi il coraggio di accennare qualcosa ai miei e dissi loro: “Sento che devo andare a Medjugorje” e la risposta fu: “Se tu pensi, va bene”. Era incredibile, perché sentivo che non erano preoccupati per questa decisione ed ero contento perché l’unica cosa che volevo evitare ad ogni costo era amareggiarli ancora.

L’altra situazione da superare era il colloquio con il capo. Mi dispiaceva deluderlo e rifiutare la sua proposta. Presi comunque l’appuntamento. La Mamma celeste mi suggerì di formulare il mio discorso d’addio nel modo seguente: “Herr Direktor, volevo informarla delle mie dimissioni, perché voglio dedicare un tempo all’approfondimento della mia vita spirituale e vivere un tempo di discernimento a Medjugorje”.

La sua risposta fu sbalorditiva, e me la ricorderò sempre: “Caro Roland, sono ammirato da ciò che desideri fare e stimo la tua decisione. Per me va bene, e se tu dovessi avere bisogno di un aiuto di qualsiasi tipo, basta che vieni”.

Una parte dei meravigliosi piani di Maria si era compiuta. Ma non era finita. Partii per Medjugorje con la mia chitarra e la mia valigia, da solo. Non sapevo per che cosa, dove andare e cosa fare, per quanto. Mi ricordo bene, e ringrazierò sempre il Signore per quella semplicità di fede che mi aveva dato da vivere in quei tempi, arrivai a Medjugorje verso sera e appoggiai i bagagli e mi dissi: “Eccomi Mamma celeste, sono qua! Ed ora?”. Non sapevo neanche dove andare a dormire. Andai al programma serale per pregare il rosario e offrire la Santa Messa e per dire ufficialmente a Gesù e Maria: “Sono qua, mi avete chiamato, cosa devo fare?”. Feci questa domanda durante la santa comunione e sentii una grande pace. Dopo i sette Pater, Ave e Gloria mi alzai per andare via e mentre mi allontanavo incontrai Pola, una ragazza irlandese che avevo conosciuto nell’ 88, insieme ad Ante che sarà il suo futuro marito, a Padre Francesco che all’epoca non era frate e ad altri nella casa di Boro Cilic, carissimo parrocchiano di Medjugorje, e mi dice:

“Ah! Tu sei qui?! Bene, vorresti lavorare con la nostra équipe irlandese per suonare e cantare per i gruppi di pellegrini irlandesi? Ti diamo vitto e alloggio e ogni settimana una piccola retribuzione!”. Cosa pensate che abbia risposto?

Veramente la Mamma celeste aveva organizzato tutto molto bene!!! Accettai e trascorsi un altro bel periodo a Medjugorje esercitando il ministero della musica che si stava formando sempre più per quello che la Madonna aveva in progetto.

La musica nella mia vita

La musica per me è stata sempre una cosa molto importante. Fu mia mamma ad insegnarmi con grande dolcezza i primi accordi sulla chitarra. Poi fu mio zio ad insegnarmi il primo Boogie Woogie e il primo Rock’n Roll. Ero piccolo Poco dopo lasciai. A 13-14 anni ripresi in mano la chitarra, perché mi avevano invitato a suonare in un complesso. Il talento che Dio mi aveva dato lo iniziai a usare per la mia gloria e le mie ambizioni. La musica fu la mia prima droga, nel senso lato, perché mi aiutava a fuggire dalla realtà, che alla mia sensibilità si fece sempre più difficile.

Il Rock satanico ebbe un effetto devastante sulla mia anima. Nei momenti più difficili divenne un’abitudine per me chiudermi a chiave nella mia stanza e frastornarmi con la musica pesante, che aveva l’effetto come di un acido che aizzava la mia anima all’odio e alla ribellione verso i genitori e verso la vita e non parlavo per giorni.

La musica è capace di veicolare forza spirituale, che è poi l’espressione di quello che l’autore vuol trasmettere. La musica ha il potere di suscitare impulsi e sentimenti a livello psichico, spirituale e fisico con le onde sonore prodotte dallo strumento o dalle voci che determinano fortemente lo stato d’animo della persona.

Nei concerti di Rock satanico vengono studiate e impostate le frequenze sonore (bassi, medi, alti) in modo tale da colpire le parti del corpo dove vengono suscitati gli stimoli del sesso, della violenza, della ribellione, della rabbia e possono portare anche al suicidio. Tanti giovani dopo un concerto del genere si sono tolti la vita, moltissimi vanno in depressione e hanno sfoghi disordinati che non permettono più di vivere la vita nell’equilibrio psichofisico.

Altri tipi di musica più leggera sono pieni di sensualità e trasmettono messaggi che annullano i valori morali e portano al disprezzo della vita destando sentimenti di tristezza, di malinconia, di pesantezza d’animo.

Nonostante ciò, questa realtà della musica del mondo porta in sé un fascino per tanti irresistibile ed è quello dello spirito del mondo, di Satana che vuole sedurre, specialmente i giovani e “imbambolarli” e rubare loro la libertà interiore e la loro dignità di figli di Dio con i suoi inganni e le sue false luci, quelle di una vita immaginaria, impossibile. Anche il mondo cinematografico forma una visione della vita lontana dalla realtà e aumenta l’insoddisfazione e il disprezzo per la vita stessa, proponendola in modo immaginario, impossibile da realizzare.

Tanti autori e gruppi musicali hanno venduto l’anima a Satana per il successo e il potere e tantissime case discografiche sono state consacrate a Satana. Condizionato e influenzato da questi spiriti, con la musica, la droga e la vita disordinata ho fatto esperienza di una profonda insoddisfazione, della paura, delle tenebre e del non senso della vita. Vivendo in ambienti così carichi di negatività la mia vita era ossessionata dagli spiriti del male che non permettevano la mia crescita interiore. A Medjugorje, P. Slavko, dal quale andai spesso a confessarmi, alla fine della confessione pregava sempre per la libertà interiore e la mia guarigione. Come nel male, più ancora nel bene, la musica è stato per me uno strumento importante per la mia guarigione e per la mia conversione. Fu grazie ad una cassetta di un cantante croato famoso, che nel 1986, più o meno, aveva registrato e dedicato una raccolta di canti a Maria Regina della Pace, che essa avvenne.

Non mi ricordo come e quando mi era pervenuta quella cassetta, ma quando dovetti tornare in Italia e assolvere il servizio militare, che mi allontanò parecchio dal cammino intrapreso, ascoltando quella cassetta piangevo tanto e mi sentivo a Medjugorje.

Dopo ogni pianto sentivo una grande pace interiore e una forza nuova; sentivo la consolazione della Mamma celeste e la certezza di tornare lì presto.

Piano piano fui liberato sempre più dagli attaccamenti sbagliati e dalle influenze negative. La preghiera e la pratica dei messaggi di Maria erano il fondamento. Ma per essere liberato definitivamente, per quanto riguarda la musica, consacrai il dono della musica alla Madonna e dovetti tagliare nettamente con tutto ciò che mi poteva ancora legare a quelle cose. Promisi alla Mamma celeste di non suonare mai più canti del mondo e di eliminare tutti i dischi cattivi che avevo in casa, all’epoca c’erano gli LP grossi. In me era maturata la certezza che ad ogni disco della musica satanica, era legato un demonio e sentivo la negatività del “pandemonio” che avevo ancora in casa e con cui dovevo ancora troncare definitivamente senza lasciare tracce.

Già troppo mi avevano deviato e ingannato con illusioni e inganni. Allora mi dissi: “Va be’, li regalerò a qualcuno”, ma la coscienza rispondeva: “No, no! Se vuoi bene ai tuoi amici non puoi regalare a loro dei demoni!”. Così un bel giorno uscii con alcuni cartoni pieni di quei dischi e li feci sparire nel cassonetto dell’immondizia. Un pò doleva il cuore, ma era un dolore sano che portò il suo frutto perché dopo quel gesto cambiarono le relazioni tra di noi in famiglia e ci fu più apertura.

I sacrifici e le rinunce per quanto riguarda la musica, nella mia vita, non sono paragonabili a ciò che la Mamma celeste mi ha dato poi in gioia e felicità, affidandole tutto. A Medjugorje mi ha cambiato totalmente: prima suonavo esclusivamente la chitarra elettrica, come virtuosista e non cantavo. Poi ho iniziato ad accompagnare e cantare i canti di Maria e Gesù. È stato per me spesso una grande scuola di mortificazione e di umiltà, ma il Signore non si lascia battere in generosità. A partire dal 1993 iniziai a sviluppare il dono di compositore e autore di canti. Non avrei mai immaginato che un giorno venissero cantati in tutto il mondo durante le liturgie, le preghiere e le Adorazioni e che sarei stato chiamato a girare il mondo per portare lo spirito di preghiera e di adorazione con la musica e per animare grandi incontri.

Siamo stati invitati come comunità già due volte negli Stati Uniti, in oltre 15 stati diversi, in Korea, e in molti paesi dell’Europa.

Da quattro anni sono stabile a Medjugorje in comunità, prestando servizio in parrocchia, ogni giorno con il canto e l’accompagnamento. Tutti i lavori e le registrazioni, in comunità li consacriamo a Maria, al suo Cuore Immacolato, per contrastare le opere del male nel campo della musica. Noi con fede crediamo che ad ogni dischetto è legato un angelo buono che intercede e prega per la conversione, la pace e la gioia di tutti coloro che ascoltano la nostra musica.

L’inizio e lo sviluppo nella comunità

Alla fine dei periodi lunghi che facevo da solo a Medjugorje, Maria mi fece incontrare Gesù Eucarestia e raggiungere così una delle mete prefisse nella sua scuola dell’amore. Ma la lotta fu contro gli ostacoli del demonio, che erano ancora grandi.

Avevo già incontrato Madre Rosaria, la fondatrice della nostra comunità e il secondo festival dei giovani a Medjugorje, istituito da P. Slavko Barbaric, era vicino. Eravamo in luglio. Un mio amico messicano, con cui trascorsi quel periodo a Medjugorje, incaricato da Madre Rosaria, mi disse prima del festival: “Ehi Roland, tra alcuni giorni inizia il festival dei giovani! Vieni a suonare!”.

Mentre ascoltavo le sue parole sentivo dentro di me una mostruosa resistenza. Con diplomazia risposi: “Ah sì, adesso vediamo”. Passarono i giorni e venne il giorno in cui dopo il programma serale iniziava il festival. Allora mi dissi: “Vado ad imboscarmi in un ristorantino farò una cena prolungata, tranquillo tranquillo, così non mi troverà e non ci andrò!” Così andai in un ristorantino e mi nascosi nell’angolo più remoto del locale e cominciai a cenare. E il tempo passava.

Ogni tanto guardavo l’orologio ed ero sempre più tranquillo. Ma!? Alzo la testa e chi vedo? Quel benedetto amico che stava entrando serenamente proprio in quel locale e guardava e guardava, mi vide e disse: “Ah qui sei! Vieni, vieni sta per iniziare il festival!”. È indescrivibile ciò che sentii dentro.

Un nero, una ribellione una resistenza così forte che mi fece prendere la mia chitarra e avviarmi con lui verso la Chiesa come un cane bastonato.

Arrivammo alla tenda verde dietro la chiesa, dove era preparato un altare con tante candeline rosse per il Santissimo e tanti giovani che erano già lì con chitarre, flauti e altri strumenti. Mi disse l’amico: “Mettiti lì e suona con loro!”. Mi misi lì, e quello che sentivo dentro era terribile, mi sentivo un imbecille, uno stupido: “Cosa faccio qui io, sono tutti matti” mi dissi.

Con questi sentimenti stavo lì ad aspettare, non sapevo cosa, solo che iniziasse qualcosa. Non passò tanto tempo ed entrò un padre francescano con il Santissimo e lo depose in cima sull’altare e noi incominciammo il canto: Adoramus Te Domine. Vi dico: mentre insieme si suonava quel canto, quella melodia semplice, alla presenza di quell’Ostia bianca lì su, le nuvole nere che erano dentro di me, che erano reali, si dileguarono e si dissolsero nell’aria e nel mio cuore entrarono una gioia e una pace indescrivibili. La gioia di essere lì.

Fu il mio primo incontro con Gesù nella santa Eucarestia, accompagnato da Maria. Le opposizioni interiori che avevo non erano solo per questo. Nei giorni seguenti uno dei frati francescani che teneva una delle conferenze, fece la domanda a tutti se c’era qualcuno che si sentisse di offrirsi come anime vittime per mezzo di Maria per la salvezza del mondo.

Quando il frate fece quella domanda il mio cuore si agitò, sentivo che quelle parole erano per me, ma non ne volevo sapere. Non ero ancora libero abbastanza per accogliere la voce del Signore. Ma fu lì che iniziò, sorretto dalle preghiere di Madre Rosaria, il cammino di preparazione per arrivare a cogliere sempre più la mia vocazione.

Padre Slavko spesso disse: ” La Madonna è venuta a Medjugorje per ricordarci che Dio esiste, che siamo preziosi agli occhi suoi e che Egli ha un piano meraviglioso, un progetto per ciascuno di noi”. Lo dobbiamo scoprire quotidianamente nella preghiera e convertirci sempre più a Lui, lasciando che la grazia tolga gli ostacoli che si oppongono alla realizzazione dei piani di Dio.

La Mamma celeste sapeva che avevo bisogno, dopo essere stato liberato dal male più pesante, per così dire, di qualcuno che mi guidasse concretamente a trovare la strada della mia vita, che era insabbiata dall’errore e dal peccato.

In seguito, Madre Rosaria mi invitò per una settimana a seguirla nei suoi pellegrinaggi e nelle sue attività evangelizzatrici. Stando con lei sentivo che si viveva lo spirito di preghiera di Medjugorje anche in Italia in modo intenso. Lunghe preghiere, veglie e pellegrinaggi.

La mia anima aveva bisogno di questo. Un giorno, attraverso un avvenimento banale in casa di Madre Rosaria, scoprii uno dei miei punti più deboli, sul quale dovevo lavorare molto. C’erano sul tavolo della cucina due bottiglie, una di aranciata e una di coca cola. La Madre mi chiese: “Cosa vuoi, aranciata o coca cola?” e io risposi timidamente: “È lo stesso.” Lei mi disse: “No, non è lo stesso, devi decidere!”. In quelle parole percepii una voce che mi esortava a prendere coscienza di quel male che si era velato in certi modi di comportarsi e di agire, troppo condizionati dalla fragilità per essere più fermi e retti nelle azioni.

Capii che per amare si deve essere veri, trasparenti, altrimenti i comportamenti sono ambigui e incerti. Nel 1993 lasciai casa mia per andare a vivere con quel piccolo gruppo che si stava formando attorno a Madre Rosaria. Attraverso la vita comunitaria si avviava così un’altra tappa della mia guarigione e della mia crescita, attraverso la quale ho potuto scoprire tanti altri punti oscuri del mio cuore.

La Madre mi diceva: “Tu sei in un tunnel e hai bisogno di essere guidato fuori da qualcuno di cui ti devi fidare, devi lasciarti prendere per mano e farti guidare perché da solo non ce la fai”. Io sentivo fortemente il suo amore per me.

Fu lei che con tanta pazienza, comprensione, sopportazione e con tanta preghiera mi amò, mi aiutò. Ero ancora molto egoista, individualista, orgoglioso, chiuso e difficile da manovrare; ero sempre stato abituato a vivere da solo.

Ero fragile, ma quando si trattava di difendere le mie vedute e i miei interessi, spesso sbagliati, mi facevo forte, pensando di non aver bisogno di nessuno. Nella mia miseria volevo essere sempre autosufficiente. Invece poi piano piano, ho scoperto la ricchezza e il dono dell’altro, la necessità dell’altro e che ogni cosa è dono, niente è dovuto, niente è scontato. L’altro è necessario per vivere nell’amore e nella pienezza dell’amore. Con quella perseveranza nell’amore della madre ho potuto fare esperienza dell’amore divino che si manifesta nel perdono e nella donazione incondizionata.

Nelle mie infedeltà, nelle mie ribellioni tante volte avrei lasciato il cammino che mi ha portato a comprendere la vera felicità interiore che viene con il sacrificio, con la donazione, pensando più all’altro che a se stessi e che sfuggivo e non avevo voluto imparare prima.

Uno dei primi canti che ho scritto fu Madre del cielo, lo scrissi in un ritiro a Medjugorje con Madre Rosaria nel 1993 per ringraziare la Madonna per tutto ciò che aveva fatto per me. In quel canto ho preso dai messaggi di Maria tanti spunti e in uno di questi Lei dice che vuole che siamo felici su questa terra e poi un giorno in cielo con Lei: “la felicità tu vuoi per noi, già qui su questa terra”.

Quando cantavo questo canto spesso pensavo che quelle parole valevano solo per gli altri, ma non per me, perché passavo lunghi periodi di sofferenza e di tribolazione perché il Signore doveva raddrizzare la pianta del mio essere.

Per arrivare a comprendere che quello che la Madonna intende in quel suo desiderio ho dovuto passare molto tempo in comunità e allora ho capito che intendeva quella felicità che è frutto del sacrificio della croce, della perseveranza e costanza, che io cercavo sempre di evitare. Ma tutti sappiamo che le gioie del mondo sono quelle che si hanno subito e senza fatica, invece quelle che durano sono quelle gioie che sono costate fatica e lotta, e sono quelle gioie che riempiono il cuore di stabilità ed equilibrio. La cosa più difficile in questo, è la lotta per riuscire a superare se stessi sempre più per amare Dio e gli altri. Un altro verso di questo canto è: “liberaci da ogni schiavitù, per vivere di più”. Queste parole le ho vissute profondamente perché sono riferite a tutti coloro che vivono schiavi degli idoli del mondo, schiavi di se stessi, schiavi delle macchinazioni del diavolo che incatenano, come lo ero io, e tengono il cuore dell’uomo lontano dall’amore di Gesù, dalla verità.

Tutti questi soffrono, soffrono tanto, sono quelli che non amano. Solo colui che ama è colui che vive, più si ama più si vive. Gesù ha detto: “sono venuto per dare la vita in abbondanza”. Non si finisce mai di amare su questa terra, non si finisce mai di perdonare. In questo sta la perfezione cristiana. “Vincolo di perfezione è la carità”, la carità che trova il suo apice nel perdono gratuito e incondizionato di Gesù che sulla croce ha detto: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Questo è il programma di vita che ho imparato in comunità e vale la pena di viverlo, per tutti, nessuno escluso. Con il consiglio di Madre Rosaria incominciai di nuovo la scuola. Feci il primo anno di liceo classico, nel quale dovevo anche perfezionare la lingua italiana, essendo di madrelingua tedesca. Fu un anno terribile. Stavo imparando così a sacrificarmi e ad essere perseverante. Solamente con il sostegno di coloro che mi stavano attorno e la preghiera, sono stato capace di concludere il primo anno.

Intanto si era acuita molto la malattia di mia mamma, che ha sofferto per oltre 13 anni la malattia di Altsheimer, assistita eroicamente dal mio papà fino alla fine. Ciò fu uno dei motivi che mi fece tornare a Bolzano e concludere gli studi superiori nella scuola privata, facendo 4 anni del linguistico in due anni.

Nel 1996, poi, sono tornato in comunità definitivamente. Dopo un anno di preghiera nella casa della comunità a Medjugorje, ho iniziato e terminato gli studi di teologia presso l’università di Bologna, insieme con Luigi mio confratello di comunità.

In almeno 10 lunghi anni la Mamma celeste mi ha guidato a compiere piano piano ciò che è la mia chiamata. Con tanta pazienza.

Attraverso la comunità mi ha insegnato la perseveranza e soprattutto il vivere la fede e il vivere nella purezza della fede, come ha fatto Lei, sperare contro ogni speranza, amare, perdonare ed essere riflesso della misericordia infinita di Dio.

Ciò che si è sviluppato insieme a Madre Rosaria è una piccola comunità in formazione di vita religiosa, con il carisma della riparazione. Era quello che avevo percepito nelle parole profetiche di quel frate, molti anni prima, al festival dei giovani, di cui ho parlato. Noi stessi siamo stati i primi a usufruire di quella grazia della vicarietà, con cui si intende il ricevere delle grazie per chi non le cerca né merita, ma che la generosità e l’offerta di altri fratelli hanno meritato.

Insieme a Maria, Madre di Misericordia, siamo stati chiamati da una vita che non aveva più senso e che ci avrebbe lasciati nelle tenebre per sempre. Ora anche noi offriamo la nostra vita e le nostre preghiere per mezzo di Maria e insieme a Lei per gli altri, affinchè tanti possano fare l’esperienza dell’amore di Dio che risana e converte.

Dal 1995 la nostra piccola comunità è presente a Medjugorje, vivendo il programma di preghiera comunitaria e servendo la parrocchia con l’animazione della preghiera e della santa Messa in lingua italiana.

Concludendo voglio ringraziare la Santissima Trinità per il dono di Medjugorje e di Maria, Regina della Pace, per tutti coloro che hanno creduto, sostenuto e promosso Medjugorje, per tutti coloro che hanno pregato e sofferto per la mia conversione e mi sostengono ancora adesso con il loro amore e le loro preghiere, e prego affinchè in modo particolare tutti i giovani abbiano la grazia di trovare sempre la forza di affrontare con coraggio la vita, che vale la pena di essere vissuta, e credere che nessun passato può impedire all’amore di Dio di formare grandissimi santi, e che possano trovare persone mature e forti nella fede e nell’amore divino, per guidarli sul giusto cammino: il cammino della croce che porta alla risurrezione e alla gioia della vita eterna.